Il 2018 è l’anno del duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx. L’anniversario cade esattamente il 5 di maggio prossimo. Sul Moro di Treviri stanno uscendo, in area anglofona, alcuni libri. In Italia, sinceramente, non so se l’anniversario servirà a riprendere una tradizione di dibattiti sulle biografie politiche più importanti dell’età contemporanea, ma tant’è. Ne riparleremo a breve. Intanto, per ricordarci la grande figura dell’intellettuale tedesco, è uscito nelle sale italiane (in altri paesi era già uscito nella seconda metà dell’anno scorso) questo bel film di Raoul Peck: Il giovane Karl Marx.
L’iconografia corrente intorno alla figura di Marx ci mostra immagini di uno studioso serio e maturo, spesso sull’orlo dell’anzianità. Raoul Peck, regista haitiano, sovverte questo cliché e ci restituisce l’immagine di un Karl Marx giovane, amante giocoso, intensamente impegnato, anticonformista, grande polemista, bevitore e fondamentalmente ottimista. Anche intransigente, come tutti i giovani riescono ad essere. Con la differenza che a Marx gli argomenti, fornitigli anche dall’essere vissuto in una particolare epoca storica dello sviluppo capitalista, non mancavano proprio.
La scelta di Peck, che con questo lungometraggio intende fornire a tutti noi, ma soprattutto ai giovani, degli strumenti per interpretare il mondo in cui siamo immersi, appare ancora più riuscita se alle scorribande giovanili con Engels si somma la storia sentimentale con la moglie Jenny von Westphalen, vero architrave della vita del rivoluzionario Marx. Certo, non tutti gli aspetti di entrambi questi imprescindibili rapporti sono spiegati a fondo e nel dettaglio (ci vorrebbero 100 ore di filmato per farlo). Tuttavia, la capacità di sintesi del regista è straordinaria, tanto che sembra suggerirci che alla base della rivoluzione ci sia l’amore, la voglia di vivere, lo stare assieme ed insieme lottare. Anzi: che la rivoluzione stessa sia l’amore. (I compagni sanno che è così !) E qui l’operazione narrativa, sostenuta da un’ottima tecnica, è assolutamente riuscita.
La scelta di umanizzare la figura del grande filosofo e rivoluzionario, di spogliarlo – quindi – di ogni rimasuglio retorico, che di per sé egli mai aveva cercato, non è solo un toccasana per i suoi continuatori di oggi, ma una spina nel fianco per tutti i detrattori – più o meno consci di esserlo – della sua figura. A cominciare dall’enunciazione della Tesi XI^ su Feuerbach che è ancora impressa lungo l’androne della scalinata dell’Università Humboldt di Berlino
I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo
dopo un’epica sbronza è certamente il modo migliore per rendere comprensibile ed empatico non solo il personaggio Marx, ma anche i contenuti del suo pensiero. Un modo attraverso il quale anche un qualsiasi giovane di oggi si può riconoscere. Questo, al di là della facile constatazione che i tempi sono diversi e, nonostante tutte le nostre lamentele, non possiamo sottovalutare il fatto che Marx, assieme a quella generazione di rivoluzionari, crea una teoria politica nuova e compiuta con degli strumenti incomparabilmente più limitati rispetto ad oggi. Almeno in Occidente. Qui il ragionamento ci porterebbe a chiederci se un Marx e tutta una generazione di pensatori non potesse che nascere proprio in quel tempo ed in un continente (ancora) all’avanguardia dello sviluppo capitalistico.
Ci porterebbe inoltre a chiederci come, con il tempo, soprattutto dopo l’irripetibile sviluppo post-bellico, ci sia stato un graduale e sempre più ampio rilassamento nelle generazioni che si sono susseguite, sia sotto il profilo etico che sotto quello dell’impegno. Aveva così ragione Pasolini quando affermava la tragedia dell’universo del consumo e denunciava l’entropia borghese? Temo di si.
Tuttavia, Raoul Peck sembra dirci anche altro: che la rivoluzione, oltre ad essere amore è anche fine della solitudine e dell’esclusione. La rivoluzione è un divenire gruppo, comunità, con un destino condiviso. Cosa che, in parte è andata perduta, ma che rimane sempre in noi sotto molteplici forme, spesso inespresse, come possibile alternativa al presente, come irriducibilità dell’umano. La rivoluzione è un modo molto concreto di curare le nostre ansie, le nostre paure, le nostre idiosincrasie; un modo per risolvere (affrontandole) concretamente le nostre domande ed inquietudini esistenziali. Prima fra tutte: per che cosa viviamo?
Peck ci ricorda anche questo, oltre ad informarci – come ha detto in un’intervista – su come è fatto questo mondo, svelando – attraverso Marx – il lato nascosto ed oscuro del sistema
….in un mondo dove ormai regna l’ignoranza, l’inconsapevolezza e l’incapacità di discernimento più elementari, oltre che l’assenza di memoria storica.
Un mondo deprivato culturalmente, in sostanza. Deprivato di un tipo particolare di deprivazione culturale che, a volte, è difficile analizzare nel dettaglio. Un misto di accidia, smemoratezza, indebolimento dei caratteri costitutivi di una società, forse ormai troppo vecchia, che forse ha abdicato alla propria umanità, per reagire a ciò che la circonda e che si rifugia nei propri piccoli e particolari egoismi che a nulla possono portare se non all’approfondimento della crisi. Non solo economica, ma proprio di prospettiva. Una società entropica, sostanzialmente. Una società in cui le energie finiscono per essere a somma zero, in cui non c’è forza sufficiente a muovere nulla se non la bassa, biologica riproduzione del regime corrente, le sue funzioni vitali. Finché dura.
Be the first to comment on "Il giovane Karl Marx, un film di Raoul Peck."