di Sergio Mauri
Egli condannava l’intervento dello Stato nell’economia. La sua opera più importante fu Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni del 1776. È la teorizzazione compiuta del liberismo. In questa opera Smith sostiene che ogni individuo che si impegna a migliorare le proprie condizioni incrementa la ricchezza nazionale. Egli dice che questo succede per la legge della concorrenza, caratteristica del mercato. Quindi il fatto che tutti cerchino di spendere il meno possibile quando comprano e di guadagnare il massimo quando vendono rende ricca una nazione. Si tratta della “mano invisibile”, dove il tornaconto personale si trasforma in vantaggio collettivo.
Ciò che è diverso in Smith è che lui riteneva che l’origine della ricchezza fosse nel lavoro e non nella terra. In un’economia primitiva con disponibilità di terra ed assenza di capitale il prezzo di una merce coincideva con la quantità di lavoro necessaria a produrla. Da qui si originava l’ottimismo di Smith che considerava le enormi possibilità del macchinismo e quindi dell’aumento della produttività del lavoro e della sua divisione, in sintesi della rivoluzione industriale. Lo possiamo considerare come il padre dell’economia politica.