E’ una domanda che considero appropriata se la si pone ai dirigenti di uno Stato capitalista. Per quanto riguarda me, invece, non mi piace la parola sviluppo. Credo intenda una totale mancanza di scrupoli in chi dirige le sorti di una nazione. Tuttavia, nella nostra cultura, questo è il concetto che innerva le discussioni sull’economia a causa dell’errore epistemologico che ci ha illusi di poter “crescere” (altra parola che non mi piace) in maniera infinita, buttando giù tutti gli ostacoli che ci troviamo innanzi. Ma accetto, sono disponibile a confrontarmi su questo piano culturale e chiedermi (chiederci) se il nostro paese abbia o meno un modello da seguire per il proprio sviluppo.
La risposta, comunque, è: no, l’Italia non ha alcun modello di sviluppo. Un paese che ha massacrato, de-industrializzando, una bella percentuale della propria capacità produttiva, non può averne uno. Un paese capitalista che non fa nulla per potenziare le proprie infrastrutture, e la rete distributiva di beni e servizi, non può avere alcun modello di sviluppo. Un paese che lascia che milioni di giovani e meno giovani indeboliscano le proprie professionalità, lasciandoli languire nel nulla, non ha alcun modello di sviluppo. Un paese che lascia morire i suoi vecchi nelle case di riposo, lucrando profitti invece di utilizzarne il bagaglio di esperienze non ha alcun interesse a migliorarsi, non ha alcun progetto.
Eppure, prima o poi, dovremo affrontare la questione di come far mangiare 60 milioni di persone. Perché è di questo che finiremo col parlare. Un paese che non produce, non esporta, non crea conoscenza, non la scambia, ovvero ne produce sempre meno di anno in anno, non cresce e non si svilupperà mai. Non c’è nulla da fare: se si vuole superare l’esistente e le sue ingiustizie non lo si può fare senza creare la classe dirigente di domani.
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