di Sergio Mauri
- Il privato e il pubblico.
Privato e pubblico sono due categorie per capire l’essenza del politico. Per Gentile, Rousseau era individualista, anche in senso radicale.
- La politica come inconveniente.
L’alternativa, lo sbocco è tra le due possibilità della società senza classi e della tecnocrazia.
- Il diverso e il comune.
Diverso e comune della politica, come consapevolezza che l’uomo non può non vivere in comunità, non si può dare né una rappresentazione concettuale né una rappresentazione sensibile. La consapevolezza si realizza attraverso il processo dell’intelligenza politica.
- Conclusione.
La categoria del politico non può essere scienza ipotetico deduttiva.
Note.
- L’unico e gli altri.
Rousseau.
- 2. La selva dei diritti dell’uomo e i suoi sentieri.
Jacques Maritain, Norberto Bobbio.
Giusnaturalismo moderno: Hobbes, Locke, Rousseau.
Marx, La questione ebraica.
Marx: in che cosa si distinguono i diritti dell’uomo da quelli del cittadino del 1791? “Sono i diritti del membro della società civile, cioè dell’uomo egoista, dell’uomo separato dall’uomo e dalla comunità”. La libertà diviene quella dell’isolarsi, non conoscendo che se stesso. La proprietà è l’applicazione pratica della libertà. Il diritto all’egoismo. La sicurezza è l’assicurazione dell’egoismo.
La filosofia rientra in gioco quando, partendo dalla constatazione della “zuffa” sociale, si comprende che tutti hanno l’esigenza di rispettare il diritto dell’uomo in quanto zoon politikon.
- 3. Il partigiano divino.
Carl Schmitt, Theorie des Partisanen.
La vulnerabilità dello Stato moderno da parte dell’azione terroristica dei partigiani non si spiega in termini solo militari, ma soprattutto politici.
L’efficacia dell’azione del partigiano dipende dalla sua clandestinità. Partigiano è colui che, dice Schmitt, simula, nasconde e dissimula la propria identità (non sarà che deve farlo perché non ha il potere?, ndr.). perciò trasgredisce ogni regola delle armate…regolari. Il partigiano è legibus solutus.
Ma il partigiano vuole rovesciare l’ordine costituzionale, dice Gentile. Schmitt cita Lenin a proposito della differenza tra guerra e gioco e osserva: “l’irregolarità della lotta (partigiana) non mette in questione solo una linea, ma l’intera costruzione del sistema politico e sociale”.
L’azione partigiana è definita come terroristica. L’azione partigiana bolla i nemici come dei criminali disumani. Gentile, dunque, definisce il partigiano come soggetto politico: 1) volontà di parte; 2) sciolto da regole universali; 3) pretende di discriminare tra bene e male.
Lo Stato si fa trascinare dal partigiano sul suo terreno, ne assume le caratteristiche (irregolarità, trasgressione da ogni regola, criminalizzazione dell’avversario).
Le tesi schmittiane posseggono quel fascino sottile del declino e nichilismo occidentali. Un fascino che da raziocinio a pulsioni che non lo sono: la paura innanzitutto.
Gli Stati moderni tradiscono la visione delle proprie origini da azioni partigiane: l’esempio di Oberdan.
- Collegamento al Defensor pacis di Marsilio da Padova: nozione di Stato; “persona pubblica”, indipendente, autonoma, separata dai soggetti particolari. Per Marsilio la reductio ad unum dei singoli nello Stato è operazione convenzionale e partigiana, consiste nello schierarsi volontario da una parte o dall’altra. Ma la volontà deve possedere una potenza operativa. L’autorità di fare delle leggi spetta solo a colui che facendole le farà osservare. Quindi, la validità delle leggi non dipende dalla loro bontà o giustizia, ma dal potere di chi le pone. Secondo Marsilio la verità, la giustizia non sono condizione di validità della legge che è tale per il potere in essa concentrato. La volontà dello Stato è dunque partigiana. Marsilio: Stato come unità operativa e volontà partigiana.
- Il partigiano, la cui struttura essenziale imita quella dello Stato moderno, non ne può però costituire un’alternativa. Può al limite rappresentarne la degenerazione. Lo conferma l’analogia esistente tra partigiano e partito. Il Partito è il nuovo soggetto politico e sta espropriando lo Stato della responsabilità politica. Per Gramsci è il partito a essere il nuovo principe. Principe e partigiano sfuggono alle leggi positive di diritto pubblico e privato. Si può dire che nel partigiano fallisca il partito come nel partito fallisce lo Stato moderno. Paradosso: il tutto generato da una parte à necessità di una prospettiva globale, unitaria, sintetica che non può essere l’addizione di politiche e prospettive partigiane. Compare sulla scena il bene comune come orientamento, come intelligenza di ognuno e non volontà astratta della “persona pubblica”.
- 4. La struttura utopica.
Citazione di Saint Simon su che cos’è, com’è intesa, l’utopia.
Citazione di Lamartine: utopie come verità premature.
Berdjaev: facilità odierna di realizzazione delle utopie e come poter evitare la loro realizzazione.
Fino a che punto è realizzabile l’utopia?
Utopia (irrealizzabile)-progetto (realizzabile)?
Utopia come altro dall’esperienza, utopia come altro mondo.
Utopia è trasformazione globale, alternativa globale, ne rappresenta la struttura autentica del progetto.
Buber ne difende il carattere realistico.
Utopia è un ordine nuovo che si contrappone al disordine attuale. L’utopia aspira all’assoluto, non pensa a riforme.
Teoreticamente l’utopia si collega al pensiero politico moderno.
La religione situando il Paradiso fuori dalla società attenuava le proprie punte rivoluzionarie.
Il presente negativo che l’utopista vuole travolgere non lo riguarda, non lo vede incluso e partecipe? L’utopista rifiuta questo accostamento. Da un certo punto di vista la realizzazione dell’utopia sarebbe un ripartire da zero, razionalizzando l’ordine politico-sociale, ma soprattutto di sopprimere una situazione di conflitto. Utopia della fine dello Stato, due versioni di uguale struttura teorica: società senza classi e tecnocrazia.
L’utopia ripristina lo stato di natura? Ma lo stesso stato di natura non era solo un’ipotesi?
Forse il merito dell’utopia è di aver smascherato l’aporia della pretesa scienza politica riportando il problema politico sul suo terreno che è quello del sapere an-ipotetico.
- 5. Governo e amministrazione.
Citazione di Aristotele su gamiki, patriké, despotiké, rapporto schiavo-padrone.
Anche un governo dal profilo puramente amministratore non può non dirsi dispotico.
L’opinione greca sul dispotismo (barbaro) orientale è stata largamente condivisa nel pensiero politico occidentale: San Tommaso, Marsilio da Padova (anche se in una prospettiva distante da Tommaso), Machiavelli, Bodin, Hobbes, Locke, Montesquieu, Hegel, Karl Wittfogel. Quindi, distinzione tra amministrazione pubblica (funzione strumentale) e governo politico (funzione orientativa).
- 6. La violenza delle istituzioni.
Tutto è violenza, quindi niente lo è? Ogni e qualsivoglia violenza potrebbe avere una giustificazione o per lo meno trovarla. Saremmo qui alla vanificazione del linguaggio; a tutto corrisponde niente.
C’è oggi la tendenza ad accostare diritto e violenza.
Il potere è legittimo? È esercitato solo da chi può farsi valere? Se il diritto lo si intende in modo positivo (tecnica sociale à condotta, minaccia di una coercizione/violenza) allora non si può chiedere alla legge di discriminare.
L’atto costitutivo dello Stato moderno rappresenta una istituzionalizzazione del conflitto nell’alienazione.
Se l’uomo è un atomo (ipotesi) e potenziale padrone del mondo in virtù della sua capacità d’imporsi in cui la natura è il luogo o il tempo in cui gli individui si scontrano e lottano, solo apparentemente il diritto si sostituirebbe alla violenza, sopraggiungendo solo a fine scontro.
- 7. Comunità e regime.
Suffragio come sistema di inclusione nella comunità.
Rousseau: la democrazia è una formula di governo, un regime, un “modello di potere esecutivo” che suppone, per il suo funzionamento, la volontà generale, principio costitutivo e aggregante la comunità politica. La volontà generale non è il prodotto del suffragio democratico, ne è la condizione efficiente, come tensione virtuale al bene comune.
Aristotele, concetto di politeia. Politeia (costituzione) e politeuma (autorità sovrana nelle città) significano la stessa cosa. Il sovrano è uno, pochi o la massa dei cittadini. Di fatto politeia è politeuma. La libertà non dipende dalla costituzione, ma da uno stile di vita.
Koinonia (comunità) è sinonimo di politeia. Aristotele ha tanto giocato con tutti questi termini poiché opera una serie di riflessioni di diverso genere sul soggetto polis. Costanti i riferimenti a technai (conoscenza convenzionale), un sapere per operare ed epistemai (struttura an-ipotetica), un sapere per sapere. Le definizioni di politeia come governo di massa e in genere sono prodotti della prima specie; come stile di vita virtuosa e comunità politica sono del secondo tipo. Mentre nella politeia come costituzione si riconosce il rapporto logico che intercorre tra le due, poiché le espressioni di filosofia politica sono le condizioni di quelle, le espressioni delle scienze politico-amministrative. Sia per Rousseau sia per Aristotele, la democrazia per principio aggregante la comunità. La partecipazione in massa al governo non ne presuppone il funzionamento.
Divergenza tra Rousseau e Aristotele: per Rousseau si può solo presupporre che nella maggioranza si trovino i caratteri della volontà generale. In Aristotele questo non è possibile: la condizione efficiente delle formule tecniche è data dalla coscienza critica che solo la filosofia politica può propiziare, del fine e della natura della comunità. Inoltre, Aristotele, il criterio maggioritario in uso in tutte le forme politiche, impedisce di prendere la maggioranza come garanzia di comunità politica.
- 8. L’ambiguità della “Grundnorm”.
Norma fondamentale come fonte comune della validità di tutte le norme appartenenti allo stesso ordinamento. Principio di unità logica interna al sistema concettuale di norme, ma non ne costituisce la ragion d’essere o fondamento trascendente della loro validità.
È possibile un’analogia tra scienza del diritto e scienza della natura: i fatti esistono (nella realtà), norme specifiche e generali sono il prodotto delle ipotesi sul funzionamento applicativo del sistema (atomi, particelle elementari). Viene richiamata in causa la meccanica quantistica.
La norma fondamentale è l’ipotesi pensata per interpretare come sistema di norme giuridiche valide un ordinamento coercitivo efficace nelle sue grandi linee. L’efficacia, quindi, è “condizione della validità”. L’ordinamento giuridico sarebbe dunque dedotta dalla norma fondamentale.
Quella kelseniana è una teoria scientifica dell’ordinamento. La Grundnorm, quindi, esplicita i suoi limiti, che sono i limiti delle scienze che elaborano strumenti operativi la cui validità (concreta) è garantita da una forma di sapere non ipotetico e operativo come quello scientifico, ma an-ipotetico e puro, tipico della filosofia.
- 9. La quadratura del “cerchio politico”.
Il contratto sociale è il suicidio dell’unico.
Esso è chiamato a far quadrare il cerchio, dalla scienza politica moderna, generando in realtà un circolo vizioso: l’amore per lo Stato che deve essere ingenerato dall’educazione non è che l’amore di e per sé stessi.
La scienza esatta giuridica è impossibile come tutte le esattezze che possiamo presupporre che invece necessitano dell’intervento critico della filosofia.
10. Un oggetto misterioso: il diritto naturale.
Gli obblighi, piuttosto che i divieti, sono aumentati in maniera spropositata nella nostra società contemporanea. La giustificazione dell’obbligo giuridico, però, viene elusa da ogni contemporanea teoria generale del diritto. Si deve riconoscere che il giusnaturalismo è presente sin nelle pieghe più recondite del giuspositivismo.
Osserva Opocher che il materialismo storico nella teoria accoglie la tesi di Trasimaco (diritto strumento) della classe dominante) , nella prassi rivoluzionaria accoglie la tesi del giusnaturalismo.
Si riapre il dissidio tra essere e dover essere.
Abbiamo due direzioni nel rapporto giusnaturalismo-giuspositivismo: separazione; continuità (con dipendenza derivativa dal secondo al primo).la natura, dunque, matematicamente misurabile, è presupposto strumentale della scienza: natura in sé è differente però dall’astratta natura costruita dalla scienza.
Esempio: l’incubo ecologico. Potremmo, contrariamente a quanto molti scienziati sostengono, vedere nelle manifestazioni della natura come “rivolta” il segno di un meccanismo di omeostasi indispensabile e provvidenziale per la stessa sopravvivenza della specie anche implicando per l’uomo una trasformazione filogenetica. La “rivolta della natura” sarebbe volta a neutralizzare l’opera devastatrice dell’uomo.
Uomo e natura non sono però separati. Per Hobbes la matematizzazione ha un senso e dev’essere usata appropriatamente (geometrizzazione). Ciò è vero anche per Kelsen. Ciò che è misurabile permette il ragionamento, ma non il contrario. Ma la soggezione al calcolo scientifico non permette l’emancipazione dell’uomo dalla natura o un suo dominio su di essa.
La separazione natura-diritto porta a eludere il problema della giustificazione delle norme ed è frutto dell’equivoco razionalistico che insidia ogni scienza non sorretta dalla consapevolezza filosofica della propria convenzionalità. Ciò vale per lo stato di natura (Rousseau). Il positivismo, dunque, non è alternativo alla natura, ma allo stato di natura, all’ipotesi convenzionale.
La positività dunque è un’ottica convenzionale. Se ciò non è compreso, allora il rischio è quello di veder rispuntare la questione del fondamento metafisico del diritto e dello Stato.
La natura è ciò che gli uomini hanno in comune e costituisce il fondamento del loro reciproco obbligo e perciò di ogni norma.
11. La struttura ideologica.
Il termine ideologia fu usato per primo da Destutt de Tracy. L’ideologia al vaglio del marxismo: polemica Lefebvre-Althusser; per il primo essa è il riflesso della realtà produttiva, mentre per il secondo essa è un sistema di rappresentazioni con un ruolo storico indispensabile in ogni società, formandone un tutto organico.
Da Aron in poi si è iniziato a parlare di fine delle ideologie. Marsilio fu detto essere stato ideologico.
L’ideologia dovrebbe essere sottoposta al vaglio delle teorie scientifiche, passibili di tramonto e/o emendamento.
L’ideologia rivela l’intelligenza politica in essa operante (finalità e collante sociale) e tuttavia con essa non coincidente.
12. Tre modi di dirsi aristocratico.
La concezione di aristocrazia, presente nelle forme di governo di Aristotele è solo uno degli aspetti interpretativi della concezione stessa. In particolare, con questo termine si intende chi non dipende dagli altri per un giudizio su se stesso, ma ne è indipendente, imponendosi sugli altri. Nel primo caso la disposizione è servile, nel secondo, no.
L’intelligenza, dunque, starebbe sopra (aristocrazia) o avanti gli altri (avanguardia).
Aristocratico è chi è “padrone di sé”, chi “ha vinto sé stesso”.
13. Equivoci e paradossi della giustizia politicizzata.
Contestazione studentesca, “operaia”, politica e politicizzazione della giustizia.
Giustificazioni per la politicizzazione:
- intenzione alternativa;
- attribuzione agli studenti di un ruolo che nega l’organizzazione universitaria vigente;
- porre le norme fuori del sistema vigente;
- supplenza legislativa.
Si sovverte l’attuale regime giuridico per imporne uno alternativo. Tuttavia, né gli studenti, né i giudici possono modificare alcunché, poiché le modifiche possono essere apportate dal solo legislatore. L’alternativa della giustizia politicizzata si manifesta nel senso della concorrenza politico-costituzionale.
I giudici si pongono dalla parte delle classi subalterne, tuttavia, contro il marxismo cui dicono di appellarsi, agiscono all’interno delle categorie borghesi facendo leva sulla teoria della sovranità. Contano sugli stessi principi cui vogliono far concorrenza.
14. L’aporia dell’individualismo.
L’uomo è oggi esaltato per le infinite possibilità assicurategli dalle scienze moderne: questo corrisponde al compimento del suo destino come preconizzato dalla Bibbia: “Crescete e moltiplicatevi, riempite e assoggettate la terra”.
Tuttavia, qui scatta la tragedia del nichilismo.
Uomo reificato e morte di Dio ne sono due aspetti.
15. Storia e politica.
Centralità del rapporto tra le due discipline.
Una teoria politica necessita, per la propria strutturazione e per la comprensione del mondo, di una esperienza delle realtà fattuali successe nel corso del tempo; ha, quindi, bisogno della storia. In tale senso la storia delle dottrine politiche, sintesi fra le due discipline, può essere paideia, educazione nel senso di orientamento nella vita.