di Sergio Mauri
Formuliamo la seguente ipotesi sullo scontro israelo-palestinese che sta avvenendo queste
settimane, tenendoci fuori dai giudizi morali. Attori: formazioni politiche e militari palestinesi
(tutte, non solo Hamas); Stato di Israele.
Posta in gioco: per le formazioni politiche e militari palestinesi, la liberazione della Palestina (non è
qui il luogo di esaminare il significato di liberazione); per Israele la distruzione di Hamas (non di
tutte le organizzazioni combattenti palestinesi, dalle dichiarazioni ufficiali di Israele medesima).
Primo problema: la liberazione della Palestina, secondo i palestinesi, presuppone o no la
cancellazione di Israele, peraltro obiettivo piuttosto remoto se non impossibile da realizzare?
Secondo problema e non per ordine d’importanza: l’eliminazione di Hamas prevede l’eliminazione
dei palestinesi?
I due problemi hanno un certo grado di specularità, si elidono e rafforzano a vicenda.
Corollario: in questo schema dobbiamo lasciare da parte l’intervento diretto di altri paesi dell’area,
Libano, Siria, Giordania o Iran, pur sapendo che dietro entrambi ci sono le entità di cui abbiamo
letto sui media, con gli USA dietro Israele, ma ben visibili e a cui aggiungere il Qatar, grande
dimenticato al contrario dell’Iran, poiché alleato del nostro blocco geopolitico.
Primo scenario: vittoria di Israele e annientamento di Hamas. Grado di probabilità attribuito: 50%.
Utilità attesa, secondo Israele, prossima all’infinito.
Secondo scenario: vittoria delle formazioni politiche e militari palestinesi, messa in discussione
dello Stato di Israele. Grado di probabilità attribuito: 10%. Utilità attesa prossima all’infinito.
Premesso che, in entrambi gli scenari, le conseguenze sarebbero estremamente importanti, capiamo
da soli che: 1) difficilmente Israele potrà, non solo distruggere Hamas, ma impedire che qualcun
altro ne occupi il posto nel momento in cui Hamas dovesse sparire e 2) pensare che sia possibile,
allo stato attuale, eliminare lo Stato di Israele senza conseguenze letali per tutti 3) la prospettiva due
popoli e due Stati è negata da entrambi i contendenti.
Ne consegue, inoltre, che una “soluzione” del conflitto può certamente essere praticata con la
distruzione di uno dei due contendenti, ammettendo però che tale distruzione avrebbe gravi
ripercussioni anche per il “vincitore”. Secondo la logica della massimizzazione dell’utilità attesa è
fuori dalla razionalità di qualsiasi contendente andare allo scontro diretto e definitivo (che infatti a
più di un mese dall’inizio delle ostilità e una conta dei morti terrificante, non c’è), mentre è
razionale circoscriverlo nel tempo e nello spazio, affinché non debordi aumentando a dismisura i
costi (militari, economici, politici, umani) rispetto ai ricavi nella contesa. La contesa in atto tra i due
attori di cui sopra non sembra avere alcuna prospettiva di risoluzione, nemmeno nel caso di una
forte pressione internazionale di governi e opinione pubblica (ipotesi Chomsky), perché
l’importanza di quel progetto occidentale chiamato Israele, mai e poi mai potrà cadere senza effetti
disastrosi per tutti.
Non è da escludere a priori, come succede a volte negli scontri militari, che questi sfuggano al
controllo dei contendenti stessi, laddove alla superiorità tecnologica israeliana corrisponde un’agilità e resilienza non-tecnologica (come avvenuto in Iraq e Afghanistan) dei combattenti palestinesi, fattore su cui le formazioni palestinesi fondano la propria prospettiva politica. Questo fatto potrebbe portare a un conflitto di lunga durata e scala allargata, ma di bassa-media intensità, il cui esito tuttavia potrebbe non essere quello desiderato, specularmente, da entrambi gli attori.
Siamo già a un “muro contro muro” globale che può durare a lungo e che terminerà solo con una
catastrofe (non necessariamente un singolo episodio) dalla quale nascerà un nuovo ordine mondiale (che tarda dalla caduta del Muro di Berlino).