di Sergio Mauri
La battaglia di Gorizia è un evento significativo nella resistenza partigiana durante la Seconda guerra mondiale. Si svolse tra il 12 e il 30 settembre 1943, nelle vicinanze di Gorizia, in Italia.
Dopo l’annuncio dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati l’8 settembre 1943, un gruppo di dirigenti comunisti a Monfalcone decise di organizzare la resistenza armata contro l’invasione tedesca. Il 10 settembre, una brigata partigiana chiamata “Brigata Proletaria” fu costituita nel villaggio di Ville Montevecchio, composta principalmente da lavoratori delle fabbriche di Monfalcone e combattenti partigiani sloveni.
La brigata, composta da circa 800 uomini e donne, si unì alle formazioni partigiane slovene per combattere contro le truppe tedesche che stavano avanzando nella zona. I partigiani presero posizione sulle colline circostanti Gorizia, cercando di bloccare le comunicazioni stradali e ferroviarie verso Trieste e la valle del Vipacco. Iniziarono i combattimenti con i primi arrivi delle truppe tedesche il 12 settembre.
Nonostante la disparità di forze e armamenti, i partigiani opposero una resistenza tenace, utilizzando tattiche di guerriglia e contrattaccando le truppe tedesche. La battaglia si sviluppò in diverse zone intorno a Gorizia e all’aeroporto di Merna. I partigiani distrussero ponti, attrezzature militari e presidi tedeschi, infliggendo pesanti perdite al nemico.
Tuttavia, l’arrivo di rinforzi tedeschi, tra cui la 44ª divisione di fanteria e truppe motorizzate, cambiò la situazione. Le truppe tedesche lanciarono un’offensiva con l’obiettivo di annientare le formazioni partigiane. Nonostante i contrattacchi partigiani, l’offensiva tedesca riuscì a penetrare le linee partigiane e costrinse i partigiani a ritirarsi sulle colline circostanti o a rifugiarsi nella pianura.
La battaglia di Gorizia durò quasi tre settimane e si concluse il 30 settembre 1943. Nonostante la sconfitta tattica, la resistenza dei partigiani rappresentò un importante atto di opposizione contro l’occupazione tedesca e contribuì a mantenere viva la fiamma della resistenza nella regione.
La brigata partigiana “Proletaria” subì numerose perdite durante la battaglia, con molti combattenti caduti, feriti o deportati nei campi di concentramento tedeschi. Tuttavia, l’esperienza della brigata non si concluse, poiché alcuni dei sopravvissuti costituirono nuove formazioni partigiane e continuarono la lotta armata.
La battaglia partigiana di Gorizia è significativa per la storia delle terre del confine orientale e per l’intera nazione italiana. È stata una delle più grandi formazioni partigiane costituite in Italia dopo l’8 settembre 1943 e rappresenta uno dei principali eventi di resistenza armata contro l’occupazione tedesca nel periodo successivo all’armistizio.
Dopo la battaglia di Gorizia, la resistenza partigiana nella regione continuò a combattere contro l’occupazione tedesca. I sopravvissuti della brigata partigiana “Proletaria” si divisero in piccoli gruppi e si unirono ad altre formazioni partigiane, continuando la lotta contro le truppe nemiche.
Pochi giorni dopo la fine della battaglia, il 12 ottobre 1943, alcuni reduci della “Brigata Proletaria” costituirono un nuovo battaglione partigiano chiamato “Battaglione Triestino”. Altri partigiani che erano tornati alle loro attività quotidiane nella regione pianeggiante di Monfalcone e nella Bassa Friulana formarono i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e l’intendenza “Montes”, che fornì supporto logistico e rifornimenti alle formazioni partigiane.
La resistenza partigiana nella zona continuò ad attaccare le truppe tedesche, sabotando le infrastrutture, raccogliendo informazioni e svolgendo azioni di guerriglia. La lotta armata in quella regione continuò fino alla fine della guerra nel 1945, quando l’occupazione tedesca fu finalmente scacciata.
La vicenda della “Brigata Proletaria” e la battaglia partigiana di Gorizia sono importanti nella storia della resistenza italiana. La formazione della brigata, la sua partecipazione alla battaglia e la resistenza tenace dei partigiani rappresentano un esempio significativo di coraggio e determinazione nella lotta contro l’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale. Questi eventi sono ricordati come parte del patrimonio storico e della memoria della lotta antifascista e della resistenza in Italia.
Vediamo nello specifico i protagonisti dell’evento:
L’Intendenza Montes, nota anche come Montes, fu una rete di supporto logistico e rifornimenti attiva durante la resistenza partigiana in Italia durante la Seconda guerra mondiale. L’organizzazione svolse un ruolo cruciale nel fornire supporto materiale alle formazioni partigiane, inclusi cibo, armi, munizioni e altri rifornimenti necessari per condurre le operazioni.
L’Intendenza Montes prese il nome dal suo fondatore e coordinatore, Piero Montes, un membro del Partito Comunista Italiano e un ufficiale dell’Esercito Italiano che era stato destituito dal servizio attivo dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali fasciste. Montes, insieme ad altri militanti comunisti e antifascisti, iniziò a organizzare una rete di supporto logistico per i partigiani.
L’organizzazione svolgeva attività di raccolta di armi, munizioni e altri materiali abbandonati o requisiti dalle forze nemiche. Questi rifornimenti venivano quindi distribuiti alle formazioni partigiane sul campo. L’Intendenza Montes si occupava anche della logistica, del coordinamento delle attività, della gestione dei collegamenti con altre organizzazioni partigiane e della protezione dei suoi membri e delle loro attività.
Montes e il suo team di collaboratori erano ben organizzati e avevano una vasta rete di contatti all’interno delle comunità locali. Riuscirono a creare una catena di approvvigionamento efficace e segreta per le formazioni partigiane, fornendo loro supporto vitale per continuare la lotta contro l’occupazione tedesca e il regime fascista.
L’Intendenza Montes operava principalmente nelle regioni settentrionali dell’Italia, in particolare in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto, ma le sue attività si estesero a diverse altre zone del paese. Durante gli anni della resistenza, l’organizzazione riuscì a fornire supporto cruciale ai partigiani, consentendo loro di sopravvivere e di infliggere pesanti perdite all’occupazione tedesca e ai collaborazionisti fascisti.
L’Intendenza Montes rappresenta un esempio significativo di organizzazione logistica e di supporto nella resistenza partigiana italiana durante la Seconda guerra mondiale, svolgendo un ruolo fondamentale nella lotta contro l’occupazione nazifascista.
Il Fronte di Liberazione Sloveno (in sloveno: Osvobodilna Fronta) è stata un’organizzazione antifascista e di resistenza che operò durante la Seconda guerra mondiale nella regione della Slovenia, allora parte del Regno di Jugoslavia. Fu fondato il 26 aprile 1941, subito dopo l’invasione e l’occupazione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse.
Il Fronte di Liberazione Sloveno era composto da diverse fazioni politiche, con il Partito Comunista di Slovenia (KPS) che giocava un ruolo predominante. Oltre ai comunisti, vi erano anche rappresentanti di altre organizzazioni antifasciste e antinaziste, tra cui socialisti, democratici, liberali e nazionalisti.
L’obiettivo principale del Fronte di Liberazione Sloveno era combattere l’occupazione straniera e il regime collaborazionista fascista sloveno noto come Governatorato di Lubiana. Il Fronte di Liberazione Sloveno organizzò la resistenza armata contro le forze tedesche e italiane, formando unità partigiane che combatterono nella guerriglia e condussero azioni di sabotaggio.
Il leader principale del Fronte di Liberazione Sloveno fu Josip Broz Tito, che avrebbe poi guidato il movimento di resistenza jugoslavo noto come Esercito di Liberazione Popolare Jugoslavo (NOVJ). Il Fronte di Liberazione Sloveno lavorò in stretta collaborazione con il NOVJ, coordinando le proprie azioni e partecipando alle operazioni militari congiunte.
Il Fronte di Liberazione Sloveno svolse anche un ruolo importante nella mobilitazione civile, nella propaganda e nella creazione di un sistema di autogoverno nelle aree liberate dalla resistenza. Nelle zone controllate dai partigiani, furono istituiti tribunali, scuole, ospedali e altre istituzioni per garantire la governabilità e il benessere delle comunità.
La resistenza slovena, guidata dal Fronte di Liberazione Sloveno, giocò un ruolo significativo nella lotta antifascista e nella liberazione della Slovenia durante la Seconda guerra mondiale. Le formazioni partigiane slovene combatterono contro le truppe tedesche e italiane e furono coinvolte in diverse battaglie e operazioni militari.
Alla fine della guerra, il Fronte di Liberazione Sloveno svolse un ruolo chiave nella formazione del nuovo stato della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, in cui la Slovenia divenne una delle repubbliche costituenti. Il movimento di resistenza sloveno, con il Fronte di Liberazione Sloveno come nucleo, è considerato un elemento importante nell’identità e nella memoria collettiva del popolo sloveno.
La Brigata Proletaria, che partecipò alla battaglia di Gorizia, fu una formazione partigiana costituita durante la resistenza antifascista in Italia durante la Seconda guerra mondiale. La brigata fu creata nella notte tra il 10 e l’11 settembre 1943 nel villaggio di Ville Montevecchio, situato a circa dieci chilometri da Gorizia.
La Brigata Proletaria era composta principalmente da lavoratori delle fabbriche di Monfalcone, in particolare dagli operai dei cantieri navali, che erano identificati dalla caratteristica tuta blu conosciuta come “terlis”. La brigata contava circa 800 uomini e donne, inclusi combattenti partigiani sloveni che si unirono alle forze italiane.
Dopo la firma dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati il 8 settembre 1943, i dirigenti comunisti locali si riunirono a Monfalcone e decisero di intraprendere la lotta armata contro i tedeschi che stavano invadendo l’Italia. L’8 settembre, gli operai dei cantieri navali e altre fabbriche di Monfalcone scesero in sciopero e furono organizzati cortei e comizi nella città.
Il 10 settembre, Ferdinando Marega, un ex condannato politico comunista, tenne un comizio in piazza a Monfalcone in cui invitò i presenti a unirsi ai partigiani sloveni per combattere i tedeschi. In seguito, furono recuperate armi e materiali abbandonati dai soldati italiani in fuga e furono distrutti gli aerei e gli impianti militari della pista d’aviazione di Ronchi dei Legionari.
La Brigata Proletaria si unì al Fronte di Liberazione Sloveno, che dirigeva l’insurrezione nazionale nella regione del Litorale Adriatico. Grazie all’aiuto delle formazioni partigiane slovene esperte, che erano già presenti nell’area da oltre un anno, la brigata fu strutturata su tre battaglioni. I reparti erano guidati da combattenti esperti di lotta partigiana e da ex ufficiali dell’esercito, mentre i commissari politici erano selezionati tra i dirigenti comunisti.
La Brigata Proletaria fu schierata a Gorizia per fronteggiare l’arrivo imminente delle truppe tedesche. Prese posizione nella zona meridionale della città, sulle alture del monte San Marco e del monte Grado, e lungo la strada del Vallone che portava a Monfalcone. I partigiani avevano il compito di bloccare le comunicazioni stradali e ferroviarie verso Trieste e la valle del Vipacco.
La battaglia partigiana di Gorizia iniziò il 12 settembre 1943, quando le prime truppe tedesche attraversarono l’Isonzo e entrarono a Gorizia. Nonostante la disparità di forze e armamenti, i partigiani opposero una tenace resistenza, effettuando azioni di sabotaggio e contrattaccando le truppe nemiche.
Tuttavia, l’arrivo di rinforzi tedeschi e l’offensiva tedesca nel settembre 1943 cambiarono la situazione. I partigiani furono costretti a ritirarsi e a rifugiarsi sulle colline circostanti, continuando la lotta contro le forze nemiche.
La Brigata Proletaria svolse un ruolo significativo nella resistenza partigiana nella regione di Gorizia e diede un contributo importante alla lotta antifascista durante la Seconda guerra mondiale. La sua formazione e partecipazione alla battaglia di Gorizia sono considerate eventi rilevanti nella storia della resistenza italiana.
Dopo la Battaglia di Gorizia del 1943, alcuni reduci della Brigata Proletaria, che avevano partecipato alla resistenza partigiana nella regione, costituirono il Battaglione Triestino. Questa formazione partigiana continuò la lotta armata contro l’occupazione tedesca e il regime fascista nella città di Trieste e nelle aree circostanti.
Il Battaglione Triestino fu costituito il 12 ottobre 1943 nel paese carsico di Opachiesella, situato vicino a Trieste. I membri del battaglione erano sopravvissuti della Brigata Proletaria e altri partigiani che si unirono al movimento di resistenza armata.
Il battaglione operava nella zona di Trieste e nelle regioni circostanti, compreso il Carso e il Collio. Svolgeva azioni di guerriglia, sabotaggi e attacchi contro le truppe tedesche e i collaborazionisti fascisti. Come altre formazioni partigiane, il Battaglione Triestino si impegnò nel danneggiamento delle infrastrutture nemiche, nella raccolta di armi e nella protezione delle comunità locali.
Il battaglione fu coinvolto in numerosi scontri e operazioni militari, mantenendo una resistenza attiva fino alla liberazione di Trieste nel maggio 1945. Il suo contributo alla lotta partigiana nella regione di Trieste è riconosciuto come un elemento importante nella storia della resistenza antifascista.
Il Battaglione Triestino rappresenta uno dei numerosi gruppi partigiani che si formarono in diverse regioni dell’Italia durante il periodo della resistenza. La sua creazione e la sua partecipazione alla lotta armata contro l’occupazione tedesca e il fascismo testimoniano il coraggio e la determinazione dei partigiani nel perseguire la liberazione del loro territorio.
Sulla Battaglia di Gorizia, gli antecedenti e gli immediati momenti successivi, confronta Sergio Mauri, Partigiani a Trieste (pp. 74-76):
L’irruzione delle forze germaniche in tutta la regione, che dai giorni immediatamente successivi l’8 settembre diverrà il “Litorale Adriatico”, provoca, come è facile intuire, delle risposte da parte delle forze antifasciste e antinaziste sul terreno militare. Da una parte queste sono del tutto spontanee e gli uomini e le donne che le mettono in atto sono dotati di scarso equipaggiamento sia in armi che in mezzi logistici, tali da non poter in nessun caso fermare l’invasione tedesca, ed è il caso della battaglia di Gorizia; dall’altra trovano un referente nel preesistente movimento partigiano sloveno. C’è da sottolineare che questi esempi di resistenza armata, assolutamente eroici, qualora fossero stati supportati da forze consistenti dell’esercito italiano – cosa che non successe assolutamente – non avrebbero certamente potuto fermare una invasione organizzata dai nazisti che misero in campo tutta la loro superiorità militare. La risposta spontanea è immediatamente quella degli operai dei cantieri di Monfalcone e delle zone limitrofe; di Trieste, dove volontari italiani e sloveni si raccolgono in due brigate che si formano tra il 9 e il 10 settembre ’43: la Brigata “Triestina” conosciuta anche come “Proletaria” e la Brigata Triestina dell’Istria settentrionale, conosciuta anche come battaglione “Giovanni Zol”. Mentre nel primo caso si ha la prevalenza di monfalconesi e isontini, nel secondo si segnala quella di triestini e muggesani. In queste due formazioni lo spirito insurrezionale è forte: intendono farla finita col fascismo e fermare l’invasione germanica. Esse non si trovano ad operare da sole, ma trovano ad est, nelle zone slovene, delle formazioni partigiane già operanti. La Brigata “Proletaria” sarà debellata dopo circa due settimane di resistenza ai tedeschi, nella “battaglia di Gorizia”. La “Giovanni Zol”, sarà investita invece dalla seconda controffensiva germanica, a ottobre. Dai superstiti di entrambe le brigate si formerà dal 12 ottobre del ’43 il “Battaglione Triestino del Carso” che sarà operativo fino al 4 aprile ’44. Dal 5 aprile, con le forze del “Battaglione del Carso” si costituirà la “Brigata Garibaldi-Trieste”. Bisogna tuttavia ricordare che gravi episodi di scontro politico ebbero luogo anche tra le file di coloro che si battevano contro il nazifascismo, tra l’ottobre del ’43 e il febbraio del ’44. L’episodio più emblematico fu quello della fucilazione di Žarko Pecič/Giovanni Pezza del battaglione “Zol” per mano dell’Istrski Odred/Distaccamento Istriano, parte dell’Esercito di Liberazione jugoslavo, comandato da Karlo Maslo. Il rifiuto di rimanere sotto il comando dell’Odred fu considerato dagli sloveni come un atto di diserzione. L’episodio, trattato da diversi storici ai quali si rimanda per un approfondimento, è sintomatico della situazione difficile e contraddittoria in cui si muovevano le forze che combattevano il nazifascismo. Gli eventi successivi all’armistizio sono dunque la vera svolta per gli antifascisti e per i comunisti in particolare, che decideranno di ingrossare le file delle formazioni partigiane non solo italiane, ma anche slovene. Anche i prigionieri liberati dalla popolazione dalle carceri del Coroneo, si dirigono immediatamente in montagna. Esistono, inoltre, anche altre formazioni che si organizzano in quel periodo, oltre a quelle già citate: si tratta del “Battaglione Garibaldi” sul Collio; del “Battaglione Mazzini” e, in seguito, grazie allo scioglimento e confluenza di queste forze, della Brigata poi Divisione “Garibaldi-Osoppo” e “Garibaldi-Natisone”. In campo sloveno opera il IX Corpo d’Armata, nella cui zona operativa sono in azione il “Battaglione Triestino del Carso” prima e la “Garibaldi Trieste” poi. I tedeschi occupano queste terre, vincono militarmente, ma la lotta sia in montagna che in città non è domata.