La criminalità non è semplicemente una categoria legale o giudiziaria o un indice econometrico, del tipo “quanto prodotto interno lordo le organizzazioni criminali sono capaci di produrre”. La criminalità è un rapporto sociale determinato da una parte dalle regole e dalle leggi che uno Stato si è dato, dall’altra da quelle leggi reali e non scritte che fanno funzionare una società, ovvero i rapporti di proprietà.
Sia le prime che le ultime si possono modificare in molti modi. Tuttavia, questi modi sono tutti politici. Ed ecco allora che, al fallimento dei cambiamenti che lo sviluppo della società e delle forze produttive che la fanno vivere, si ha un (fatale) espandersi del fenomeno criminale che, altro non è se non ripartizione e ridiscussione del prodotto sociale. All’interno di ogni organizzazione criminale ci sono tutte le classi sociali, imprenditori (quelli che mettono i soldi), gli operai (quelli che si sporcano le mani), eccetera. All’interno dell’organizzazione gerarchica criminale, evidentemente, dovrebbe entrare esplicitamente la lotta di classe. Dico esplicitamente poiché implicitamente già c’è. Non capire questo, significa fare del fenomeno criminale una questione morale quando morale non è, uno specchietto per le allodole buono per le troppe anime belle e meno belle che abitano il nostro circondario.
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