E’ sentire comune che, nelle società occidentali contemporanee, ci sia una profonda crisi della rappresentanza elettorale. Più precisamente, azzarderei, una crisi della rappresentanza dei bisogni sociali. Dobbiamo, per inquadrare il problema, partire dalla constatazione che la rappresentanza oggi ha una sua connotazione particolare. Non stiamo, quindi, parlando di rappresentanza in senso generale, ma di rappresentanza in una società avanzata di tipo capitalistico.
Essa si delinea come un sistema nel quale, dei professionisti della politica, stipendiati dallo Stato, esercitano il potere di mediazione fra le varie componenti sociali, fermo restando il sistema di produzione e di scambio capitalistico – rappresentato, questo si, dallo Stato stesso – che non deve essere messo in discussione. Si tratta, perciò, di una rappresentanza “aperta”, ma fino ad un certo punto: fino al punto in cui non mette in discussione posizioni sociali, privilegi, miserie, sfruttamento. Insomma, finché non sono messe in discussione le fondamenta del sistema. E’ la società tollerante, in cui qualcosa è permesso e solo quel qualcosa si può fare.
Questo sistema della rappresentanza è fondato sulla accettazione della delega a esprimere i propri interessi e bisogni, spinta da un forte processo di ideologizzazione accompagnato dalla parcellizzazione di tutte le funzioni sociali. Processi tipici in una collettività articolata e complessa come quella contemporanea. Tuttavia, ci siamo accorti da molto tempo che la delega è discutibile. Non funziona veramente. Soprattutto perché chi è delegato non ha nessuna spinta a lavorare seriamente per chi gli fornisce la delega mentre preferisce essere in ottimi rapporti con lo Stato (mediatore di tutti gli interessi ma sulla base del peso sociale concreto che essi hanno) che lo stipendia o con i grossi operatori del mercato che lo ingaggiano per fare il lobbista. Se il delegante avesse la possibilità di rimuovere in qualsiasi momento il delegato, allora con molta probabilità quest’ultimo non si comporterebbe come si comporta la classe politica oggi (ovviamente parliamo del sistema nel complesso e non di singole personalità apprezzabili).
Quindi, il cosiddetto “popolo”, un’espressione ideologica di medietà in cui racchiudiamo tutte le classi e categorie sociali, in realtà non ha di per sé un potere reale di controllo nei confronti di questo sistema che si regge indipendentemente dalla legittimazione che il popolo stesso gli può dare. I delegati, funzionari e garanti di questo sistema di produzione e scambio, devono esistere comunque. Si salva l’apparenza delle cose, spedendo il “popolo” a votare ogni tot anni. Si tratta di sondaggi più che di votazioni. E’ la classe dominante che sonda gli umori del cosiddetto popolo per confezionargli poi una rappresentanza politica (che abbiamo visto essere fittizia) che lo tranquillizzi per un po’ di tempo…fino alle prossime elezioni-sondaggio.
Ma, siamo sicuri che sia un problema nuovo, che si è fatto così pressante solo in questi ultimi anni? No, non è proprio un problema nuovo. Questo è il problema della rappresentanza nella modernità capitalistica praticamente dalla sua nascita. Il movimento operaio voleva sostituire insieme al modo di produrre anche il sistema della rappresentanza. Dalla “Comune di Parigi” alla Rivoluzione Bolscevica, esperimenti di questo tipo ne sono stati fatti e anche se hanno avuto un successo parziale e limitato nel tempo, gli esempi non mancano.
Tutto il movimento operaio e comunista, ad esempio, è stato pervaso da questa coscienza ed una delle conseguenze di essa fu proprio la scelta politica di cambiare il sistema dall’esterno e non attraverso progressive e pazienti modifiche dall’interno dello stesso. Oggi tutto ciò è dimenticato, le più elementari lezioni della storia sembrano fuori dal bagaglio culturale del movimento operaio e di tutta la sinistra. Che è alla ricerca dei suoi “15 minuti di notorietà”, promettendo cose che dall’interno delle istituzioni (che giustamente pretendono obbedienza) non potranno mai darsi.
Il problema della rappresentanza e la risoluzione dello stesso non è stato solo della parte politica di sinistra. Storicamente, i regimi fascisti si sono affermati proprio in ottemperanza alle necessità più conseguenti del capitalismo, in veste di auto-tutela dal “pericolo rosso”, e by-passando i laccioli del sistema capitalistico-borghese in tutte le sue articolazioni liberali. Quei regimi furono la risposta alla crisi profonda che attraversava il sistema nel complesso e, in particolare, quella risposta fu la “via d’uscita”, la dimostrazione di che cosa il sistema stesso si concedeva di fare pur di salvarsi. Sappiamo, a conferma di ciò, quali furono le connivenze interessate del capitalismo con quei regimi. Va aggiunto, per onestà intellettuale, che i regimi nazista e fascista furono a largo consenso non solo piccolo borghese, ma anche operaio.
Anche questa ideologizzazione della crisi della rappresentanza, quindi, è un espediente per continuare a parlare di politica, una politica nuova, “leggera”, dove non sono più importanti i contenuti, ma le forme e le più minuscole variazioni sul tema, per farci credere che qualcosa cambi. Anche se i rapporti sociali fra le persone rimangono tali e quali.
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