La globalizzazione e il (fu) caso Telecom.

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Struttura societaria Telecom Italia.

Il misfatto. Si tratta della creazione di una fitta ed estesissima rete di spionaggio ed informazioni atte non solo ad avvantaggiare Telecom rispetto agli altri concorrenti ma a fare pressioni e a ricattare il potere politico, i sistemi industriale e giornalistico. Tronchetti, in Telecom, organizza questa struttura, mettendo al servizio dei servizi segreti tutta la propria capacità oggettiva di spionaggio, disponendo dell’accesso alla totalità dei telefoni fissi degli italiani e di quasi la metà di quelli cellulari.

È una storia molto seria, in una repubblica formalmente democratica, dove non governa un Saddam di turno: per il supporto al rapimento di Abu Omar, a titolo di esempio, Tronchetti guadagna crediti verso il sistema atlantico Cia-Servizi Italiani. Il suo lavoro (che evidentemente non è quello di far ripartire Telecom) è così strutturato: crea sistematicamente dei dossier con cui condizionare normative, alleanze, commesse, crediti. Il tutto con l’ausilio del management Pirelli che ha perfezionato negli anni la schedatura di operai e concorrenti, trasferitosi in Telecom mentre perdeva tristemente, quote di mercato. L’intreccio con la CIA è esteso e strutturato: perfino in Brasile (attraverso la sua controllata Tim Brazil) emergono scambi di servizi tra la security di Telecom Italia e i servizi americani e conseguenti condizionamenti e violazioni di segreti in favore del gruppo industriale.

Un grave fatto, come corollario al misfatto suesposto, riguarda l’improbabile suicidio di Adamo Bove dal cavalcavia di Napoli, dirigente della sicurezza che aveva collaborato con la magistratura nell’istruttoria su Tavaroli, Pollari e Cipriani, quindi sul versante sequestro Abu Omar.

Il contesto. La crisi economica, iniziata negli anni Settanta con la fine della validità degli accordi di Bretton Woods, fa sì che si esca dalla concorrenza (al contrario di quello che si dichiara) e si entri nei settori protetti: ex-pubbliche utilità a monopolio naturale. Per raggiungere questo obiettivo occorre transitare per consensi politici. Colaninno, Tronchetti, Cragnotti, Tanzi, Benetton si affermano per concrete capacità di captazione del consenso politico in luogo di quelle imprenditoriali. Nascono le Merchant Banks che non parlano inglese (affermazione di Guido Rossi, presidente Telecom allora!) e ruotano tutte attorno a Palazzo Chigi. Fuori dal mercato e dentro “i giri” del potere politico e finanziario – quindi – per accedere ai settori protetti ancora gestiti dallo Stato. La Borsa e l’intermediazione delle banche d’affari hanno giocato un ruolo di captazione del credito per accedere nei Consigli di Amministrazione delle pubbliche utilità. Nessuno dei Colaninno, Tronchetti, eccetera, ha comunque investito un euro delle proprie finanze. Telecom, tecnologicamente, rimane sempre un passo indietro ai concorrenti leaders.

La storia. L’operatore tlc italiano, insieme ad altri europei (Deutsche, British, France Telecom…) ha beneficiato della oggettiva collocazione industriale nel monopolio naturale, una categoria specifica che ha attraversato tutte le pubbliche utilità nell’ultimo secolo, che ha consentito sviluppo (e non sempre progresso) e accumulazione di capitale ad alta tecnologia attraverso le economie di scala. I capitalisti in crisi entrano nelle pubbliche utilità. Per rendere possibile il passaggio da una fase di accumulazione ad una di gestione della crisi finanziaria e produttiva, in tutti gli anni ’80 assistiamo a continue campagne mediatiche sull’inefficienza dei servizi pubblici, sul loro costo eccessivo, sulla loro arretratezza rispetto allo sviluppo dell’industria privata. I dati vengono mistificati, si comprano firme autorevoli (quelle stesse firme autorevoli che si meravigliavano fino ieri del fenomeno Berlusconi e del degrado della politica italiana, 25 anni fa non facevano altro che decantare le magnifiche e progressive sorti del capitalismo privato italiano), si fa leva sulla dissoluzione dell’economia sovietica, si generano norme ed istituzioni volte alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni. Le norme se le creano da soli: “Nel ’98 il monopolio dovrà cadere anche nelle reti telefoniche tradizionali” si legge in un Rapporto CEE dell’epoca. È il sistema usato per ordinare una nuova configurazione dei rapporti di proprietà. Negli anni Novanta Telecom viene privatizzata, e i primi ad entrare sono gli uomini Fiat (Rossignolo e Bernabè). Poco dopo c’è l’OPA di Olivetti, ovvero Colaninno, che vuole il comando della Telecom senza avere i soldi per comprarsela. Ecco i primi guai seri: al piano industriale di Bernabè (calato in un contesto di mercato e regolamentare, riconosciuto anche dalla Borsa), Colaninno deve lanciare l’OPA ad un prezzo superiore per poterne venire a capo. Quindi non solo i soldi non ci sono ma si stratifica pure una quota di debito impossibile. Il problema che si evidenzia è: non posso ripagare il debito se investo, come dovrei, nel progetto industriale. Arriva Tronchetti che all’acquisto, si trova nelle analoghe condizioni di Colaninno con in più i suoi debiti. Tronchetti inizia a vendere tutti i gioielli dell’universo Telecom e azzera gli investimenti industriali (sull’UMTS, al contrario del concorrente “3”) che sarebbero necessari per la vita industriale di medio e lungo periodo dell’azienda. Ma è il solito gatto che si morde la coda: non puoi vendere i pezzi migliori, quelli che fanno cassa perché ti togli le possibilità di ripagare il debito. Ma il casino spunta l’11 settembre (che infausta data!) 2006 quando al CDA Tronchetti annuncia di voler vendere TIM per ripagare il debito contraddicendo la strategia fin lì condotta, fondata sulla integrazione fra TIM e Telecom. A quel punto, finalmente, la stampa economica italiana ed internazionale si accorge che qualcosa non va in questo capitalismo da rotocalco: dopo le pagine estive sulle deviazioni istituzionali della Telecom occupata dai pirelliani (intercettazioni, Sismi, Cia) si scopre chi è al comando di Telecom e cosa sta facendo dal punto di vista industriale. Cioè, una delle migliori realtà industriali italiane in termini di contributo al Pil, occupazione e servizi offerti, messa a saldo per ripagare i debiti sovrastrutturali di Pirelli contratti dai suoi manager. Poi, si offre Tim Brazil che sta segnando ottimi ricavi a 2 cifre e crescente generazione di cassa. Fino all’ultima uscita di alcuni giorni fa in cui viene manifestato pubblicamente l’interesse per la Telecom, da parte dell’indiana Hinduja e della russa AFK Sistema.

Il commento. In momenti di crisi finanziaria ed industriale i valori dei soggetti che operano, le loro capacità e le caratteristiche che si affermano sono politiche e non tecniche. Quando la vita di un’azienda è condizionata criticamente da istituzioni nazionali (governo, stampa, parlamento, autorità di regolamentazione) come in questo caso, chi vince è colui che meglio porta capacità di speculazione e manipolazione del consenso, al posto delle capacità di sviluppo industriale. Queste attività condizionano la stessa vita industriale e ne rappresentano un costo elevato. E per continuare nell’attività imprenditoriale l’attività di spionaggio a costi altissimi, diventano necessarie per avere nuovo credito, rinegoziazione del debito, rinvii di pagamenti. Non a caso, il sistema di banche vicine al gruppo Telecom, Mediobanca e Capitalia è tra quelli più spiati e controllati: il bisogno costante di credito richiede capacità di saperlo ottenere con altri mezzi.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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