di Sergio Mauri
Heidegger per libertà intende l’accesso all’ente, l’aperto, lo schiudersi. Per noi libertà significa non aver vincoli; per Heidegger significa essere assegnati allo svelato. La libertà per Heidegger è la possibilità di accedere all’ente in quanto svelato.
Posizioni di Heidegger e Nietzsche rispetto alla verità. La verità non è qualcosa che se ne sta da qualche parte ed è concordanza tra quanto uno dice e come stanno le cose. Ma lo schema ci permette di accedere a qualcosa che si chiama fatto o ente, come è possibile? L’uomo è innanzitutto assegnato all’alethes, si trova nella possibilità di avere accesso all’ente, al fatto. L’uomo è tale in quanto assegnato all’ente. Quando Heidegger dice che con Platone inizia l’umanismo vuol dire che l’uomo sarà sempre al centro dell’ente.
Di fronte allo svelato non è l’uomo a decidere, ma è lo svelato che “decide” il modo di accedere all’ente. Questa modalità sarà dimenticata, mentre l’uomo sarà sempre più preso dalle manipolazioni, dal rapporto con gli enti.
Anche in Nietzsche, apparentemente, la verità si colloca in modo diverso rispetto all’intelletto comune. Dicendo che la verità è uno strumento prospettico dell’uomo per sopravvivere, Nietzsche si colloca diversamente. L’uomo, dice Heidegger, deve tentare di cominciare a ricordare la configurazione originaria dell’aletheia, anche per tutelarsi nei confronti delle conseguenze della tecnica. Quindi, togliersi dalla posizione di primo piano, da parte dell’uomo.
Alla prolusione L’Esistenzialismo è un umanismo[1] di Sartre, in cui quest’ultimo dice che al centro c’è l’uomo, Heidegger risponde con la Lettera sull’umanismo[2]. Per Heidegger nel primo piano c’è l’essere, lo svelato, non l’uomo. Non solo, l’essere è il piano stesso.
Il modo in cui Nietzsche depotenzia la soggettività dell’uomo, è ricavata proprio dal modo in cui egli elabora la questione della verità, come errore, creazione artistica. In Così parlò Zarathustra egli mette il tragico in forma di danza, in modo leggiadro; un tratto, un atteggiamento di Nietzsche proprio nel vedere il continuo divenire, che con Dioniso è non solo il dio dell’ebbrezza, ma anche il dio dell’inquietudine.
Heidegger prende in considerazione l’essere dell’uomo da una posizione distaccata, ed è pure distaccato sulla dimensione tragica in Nietzsche.
Nietzsche dice che non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. Le interpretazioni sarebbero delle letture dei fatti. Il divenire in cui siamo, pur senza accorgercene, si esprime senza interpretazioni? Noi non possiamo constatare alcun fatto in sé, dice Nietzsche. Nietzsche non vuol dire che non possiamo avere a che fare con i fatti, ma che non possiamo dire che siano fatti in sé.
Ma se ci sono solo interpretazioni e i fatti non ci sono, allora tutto è soggettivo?
In Zarathustra gli animali sono l’aquila e il serpente. Anche il soggettivo, ritenere che sia tutto soggettivo, è essa stessa un’interpretazione. È un’ulteriore falsificazione. Ma cos’è, dunque, il soggetto? Qualcosa di aggiunto con l’immaginazione. Già mettere l’interprete dietro l’interpretazione è illusorio: non c’è alcun interprete, alcun soggetto.
Arriviamo al prospettivismo di Nietzsche che non è semplicemente il pensare a conservarsi. Abbiamo un interpretare, una forza che accade, a cui viene poi appiccicato un soggetto. Ci sono eventi dinamici, c’è solo un divenire. C’è un gioco di forze. Il soggetto è appiccicato dopo. Siamo nei termini dell’invenzione delle ipotesi.
Il mondo ha innumerevoli sensi e attraverso la conoscenza diamo un senso al mondo stesso. Siamo di fronte al relativismo? Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo, i nostri istinti, le forze pulsionali del divenire. Ogni istinto è una specie di sete di dominio. L’istinto sta al fondo del prospettivismo, dove non c’è il soggetto.
L’ipseità è caratteristica dell’umano che dice “io”. È una consistenza, una sostanza che viene proiettata fuori di noi.
Il mondo non è altro che l’interpretazione pulsionale. La realtà non esiste, è solo un gioco di feticistiche proiezioni grazie al nostro linguaggio. All’inizio, dice Nietzsche, sta l’errore che la volontà sia agente, sia un soggetto, una facoltà. Oggi, dice Nietzsche, sappiamo che la volontà è solo una parola.
La categoria dell’esperienza può entrare in contraddizione con ciò che deve rimanere stabile, dice Nietzsche.
Logos apophantikos, o discorso dichiarativo, dove c’è un soggetto a cui si attribuisce un predicato (Aristotele). Per Nietzsche l’errore dell’essere viene dalla parola, da ogni frase che pronunciamo. Proprio nel logos apophantikos c’è l’essere verbale, l’errore che viene tematizzato in filosofia.
Nietzsche dice che nemmeno Democrito col suo atomo (indivisibile) ha appunto potuto fare a meno di qualcosa di permanente, nell’atomo stesso.
(Vedi anche il soggettivismo di Protagora).
- L’essere, secondo Heidegger, è il non-ente, ciò che si distingue dall’ente.
[1] L’esistenzialismo è un umanismo è il titolo di una conferenza tenuta da Jean-Paul Sartre nel 1945, e della sua successiva pubblicazione in volume l’anno seguente.
[2] La Lettera sull’«umanismo» (in tedesco Über den Humanismus) è una lettera del filosofo tedesco Martin Heidegger, scritta nel dicembre 1946 e pubblicata nel 1947. L’autore tenta qui di rispondere a una serie di questioni postegli da Jean Beaufret in una lettera del 10 novembre 1946.