Questo agile libro di Canfora tratta di una categoria fondante la politica con acume e sguardo realista. Il tema è controverso e oggetto di molteplici punti di vista. Personalmente ho sempre pensato che il potere siamo noi stessi. Questo non nel senso che in ognuno si soddisfino tutte le manifestazioni di esso, ma nel senso che è da ognuno di noi che esso inizia a manifestarsi, seppure nella limitatezza del singolo individuo. Già nel fenomeno che noi concettualizziamo come “venuta al mondo”, nell’esistenza fisica in vita, si manifesta una forma di potere, non fosse altro che il potere della vita, appunto.
Un potere politico non nasce dal nulla, è espressione di interessi concreti di ceti, classi sociali, raggruppamenti di essi. Senza quel particolare e determinato tipo di società ateniese gli interessi delle classi dominanti dell’epoca non si sarebbero espressi in QUEL modo. Senza la classe lavoratrice e proletaria il movimento socialista non avrebbe avuto gambe su cui camminare, così come l’URSS non sarebbe esistita senza il POSDR prima e i bolscevichi poi che, prima dell’evento rivoluzionario organizzarono operai, contadini poveri, soldati e intellettuali ribelli fino alla presa del potere del ’17.
Mantenere il potere è un arte altrettanto complessa di quella che concerne l’impossessarsene, tuttavia, la fase della sua gestione viene sempre dopo la conquista del potere, poco importa se esso avvenga per via democratica o rivoluzionaria.
Luciano Canfora, noto critico dell’attuale sistema della rappresentanza politica svuotato nel suo senso fino ad essere mera espressione di gruppi economici dominanti, nel suo breve saggio “La natura del potere”, anche quando parla di Tucidide si rivolge, in verità, ai comunisti ed alla loro storia. Nel suo libro egli enuclea gli snodi fenomenologici in cui il potere si manifesta, ricordando tuttavia costantemente che ogni forma di potere ha alle spalle interessi collettivi di gruppi sociali, masse organizzate non necessariamente di numero elevatissimo o maggioritario nel corpo sociale, ma contrapposte ad altre disperse ed intrinsecamente incapaci ad organizzarsi. Ci ricorda, inoltre, l’importanza della origine culturale, come della storia, dei gruppi che esprimono il potere che saranno garanzia per la sua continuità o meno. Ed in proposito, un altro punto fondamentale sottolineato da Canfora è quello della continuità nella trasformazione riformatrice o nel compromesso fra equilibri nuovi: ciò che mi sembra essere mancato nel campo socialista, Cina esclusa. Continuità del potere e tradizioni culturali che lo esprimono si intersecano e ne influenzano, in definitiva, la capacità di successo. Tuttavia è proprio sul concetto di continuità che dovremmo capirci meglio, a prescindere da facili conclusioni.
E’, tuttavia, evidente che se un potere viene meno, ciò è dovuto alla scomparsa di quei referenti sociali che ne avevano decretato la nascita. Il potere non può sopravvivere semplicemente come riproduzione di un ceto politico militante in sé e per sé. Questo ci ha insegnato la storia.
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