La questione femminile come paradigma del nuovo ordine sociale.

Femminismo
Femminismo

Io sfido qualsiasi donna a darmi una spiegazione compiuta di che cosa significhi l’emancipazone femminile, nel perimetro politico dell’Occidente. Oggi la parità, che è il veicolo che ci porta dritti all’emancipazione, è quella cosa che prevede che l’oppreso possa eguagliare il suo oppressore.

Sembra concluso il tempo lungo il quale l’oppresso intendeva porre fine alla propria oppressione, ma senza trasformarsi nell’oppressore. Divenendo, invece un’altra cosa, un uomo nuovo. Per lungo tempo la questione femminle è stata agganciata alla lotta di classe, pur essendo lotta di genere, per il socialismo. E questo aggancio è stato ad un certo punto, un limite perché impediva a molti comunisti, di sottoporre a critica serrata le compagne e sorelle che si battevano per i diritti civili delle donne mentre lasciavano al Partito, composto – certo – di donne e uomini che avevano messo al primo posto la questione dei diritti sociali, come giustamente deve essere. Non vi è, infatti, spazio di manovra politica allorquando ci si privi di battersi per i diritti sociali, alleviando – di fatto – il peso della procreazione e dele mansioni di cura familiare tipicamente femminili.

In realtà chi si può permettre di battersi solo per i diritti ciivli è la donna borghese che ha il privilegio di possedere già – non tanto i diritti sociali – quanto la forza economica e sociale per sottoporre qualche altra donna a lei inferiore, tutta quella serie di doveri di ruolo che si sono cristallizzati nel tempo lungo della storia della lotta di classe, di cui la dialettica di genere è parte.

Tuttavia è con la sconfitta del socialismo ed il riflusso che ne consegue che, polverizzato un antagonismo sociale di sinistra e marxista, la questione si è posta nel peggiore dei modi. Ha adozione marxistizzata (o socialisteggiante) dei diritti civili da parte della sinistra al caviale, come di quella residuale, è entrata a far parte sia della coscienza che di tutta la dinamica della classe dirigente italiana di fede più o meno progressita. Tutto il mondo intellettuale negli ultimi 40 anni da sinistra fino all’intellettuale cattolica ha adottato questo punto di vista deleterio, con al vertice della piramide, i diritti civili.

Questa adesione, questa accettazione del fatto compiuto, un cedimento al degrado di un’idea di reale avanzamento della società umana che non è quello di dare a tutti la possibilità di opprimere, ma quella di eliminare l’oppressione, è responsabile del vicolo cieco, in cui la società è stata gettata in questi decenni. Il capitalismo – consumismo in cui siamo immersi, col quale siamo stati fin troppo indulgenti, ha creato il contesto ideologico della falsa tolleranza e del falso laicismo, di falsa realizzazione dei diritti civili.

Per cui, quando chiedessimo a una donna lumi sull’emancipazione femminile, probabilmente ci risponderebbe citando le percentuali di donne in carriera o di donne in ruoli dirigenziali, o citando i tipi di lavoro nei quali – per una donna – è più complesso inserirsi.

Nessuno nega, tantomeno io, che non ci debbano essere preclusioni di ruoli fra i sessi, eccettuati quei compiti lavorativi in grado di danneggiare le donne in quanto tali nelle loro funzioni specifiche, come ad esempio la riproduzione. Nessuno lo nega, ma il punto è che non ci possiamo fermare al perimetro culturale e valoriale della società borghese capital-consumista. Una domanda da fare, infatti, è: quali tipi di relazioni umane e sociali immaginate voi, donne che si battono per l’emancipazione all’interno della società borghese e delle sue compatibilità?

Immaginate un mondo in cui i ruoli sociali dominanti, fondati sull’opposizione dialettica oppresso-oprressore, non debbano esser messi in discusione ma solo riempiti da nuovi adepti, perciò anche di sesso femminile?

Se l’orizzonte delle donne è questo, allora non c’è alcun progresso sociale, ma solo una corsa ad occupare dei posti di dominio, tradendo quindi una visione gerarchica conforme alla narrazione dominante.

Il risultato dell’emancipazione tra chi serve è chi comanda si chiama identificazione ovvero una democratizzazione in senso borghese. La tragedia allora consiste nell’aver fatto regredire una lotta verbalmente definita marxista-leninista in una lotta civile interna alla borghesia, e come tale essenziale alla sua stessa esistenza. In questo contesto la realizzazione dei propri diritti non fa altro che promuovere, chi li ottiene, al grado di borghese. Ma allora dobbiamo rispondere a questa domanda: in che senso la coscienza di classe non ha nulla a che fare con la coscienza dei diritti civili marxistizzati? È semplice. Mentre chi si batte per i diritti civili marxistizzati per una identificazione – pragmatica – tra sfruttato e sfruttatore, i comunisti lottano per i diritti civili in nome di una alterità. Alterità ( e non alternativa) che – in virtù della sua stessa natura – esclude ogni possibile assimilazione degli sfruttati con gli sfruttatori. La lotta di classe è stata una lotta per la prevalenza di un’altra forma di vita, quindi di un’altra cultura. Come marxisti sappiamo che nel momento in cui gli sfruttatori, per mezzo degli sfruttati, producono merce, stanno producendo rapporti sociali, cioé umanità. I capitalisti di questa fase del capitalismo che conosciamo come consumista, ovvero basato sulla produzione in grande quantità di beni superflui, finiscono per produrre non solo nuovi tipi di merci, ma anche un nuovo tipo di umanità. I comunisti hanno sempre lottato per una mera alternativa. L’alterità avrebbe modificato radicalmente i rapporti sociali, quindi la cultura esistente. In epoche precedenti i rapporti sociali sono sempre risultati come modificabili, mentre oggi è ancora così?

Forse che la potenza del capitalismo consumista ha reso immodificabili questi rapporti sociali? È dunque questo il senso della omologazione borghese che si va compiendo a scala planetaria, riassunto nella formula marxista del “dominio totale e reale del capitale” sulla società umana. In special modo in Occidente ed in Asia. Sotto questo aspetto le prospettive per il capitale sono rosee. Il vecchio capitalismo induceva bisogni molto semplici e, in fondo primari. Il nuovo capitalismo invece induce bisogni inutili ed artificiali. Questo è il motivo per cui il capitalismo oggi non si limiterebbe a cambiare un tipo d’uomo, ma l’umanità stessa.

Il capitalismo-consumismo può quindi creare dei rapporti sociali immodificabili articolando una dialettica che va dalla falsa e laica tolleranza al fascimo tecnocratico, a seconda delle necessità di auto-conservazione.

In questo modo lo spazio per l’aterità rivoluzionaria sarebbe ridotto a quello dell’utopia e del ricordo, metre i partiti di ispirazione marxista si limiterebbero ad una funzione assolutamente inedita; quella socialdemocratica. Ciò che possiamo e dobbiamo fare è lottare per ogni forma di cultura alterna o subalterna.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 con Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023 e con Amazon Kdp nel 2024.

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