Partiamo dall’altra parte dell’oceano: gli Stati Uniti sono i primi debitori al mondo. Nonostante questo, nessuno chiede loro conto di quel debito. Non è stato sempre così ma la progressiva de-industrializzazione del paese ha posto gli USA in difficoltà rispetto ai concorrenti. La guerra fredda, sostenuta a colpi di miliardi di dollari ha danneggiato, nel tempo, la loro economia. La guerra in Iraq, in Afghanistan, le misure anti-terrorismo domestiche hanno fatto il resto. Tuttavia gli Stati Uniti non si pongono problemi fintantoché detengono l’egemonia finanziaria internazionale: transazioni delle materie prime, petrolio in testa. Già l’acquistata forza di Yen e Marco durante gli anni Settanta e Ottanta avevano minato il predominio del dollaro ma quando appare l’euro, gradualmente, il dollaro comincia a perdere terreno e rischia il suo status di valuta di riferimento mondiale.
La guerra finanziaria e la relativa debolezza del dollaro sono il riflesso della struttura reale della società americana: negli Stati Uniti l’industria si dibatte ancora per non evaporare. Una struttura industriale debole, come quella, difficilmente può resistere ai marosi della concorrenza internazionale. Lo stesso vale per quei paesi europei che non hanno mai avuto o hanno perso una buona fetta della propria base industriale, diventando segnatamente, il fianco scoperto dell’Europa. Non è così per la Germania che una solida struttura industriale l’ha mantenuta ed è il secondo esportatore al mondo.
Nella crisi attuale vi sono dei colpevoli, cioè chi specula sulle nostre difficoltà. Le 10 società finanziarie che ci stanno facendo la guerra, detengono il 90% dei titoli e dei derivati a livello mondiale: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Bank of America, Citibank, Barclays, UBS, Credit Suisse, Societè Generale, BNP-Paribas. Quando vi parlano di mercato potete tranquillamente ridere in faccia ai vostri interlocutori: questo è oligopolio, nulla più. Come noterete, la maggior parte di questi colossi è fuori area euro; gli altri forse sperano di poter sopravvivere anche fuori dall’involucro europeo. In particolare i tedeschi attraverso i loro nuovi interessi commerciali nei confronti dei paesi baltici possono tranquillamente fare a meno dell’Europa meridionale, Italia compresa. Gli agenti politico-finanziari che stanno muovendo i fili dell’operazione albergano nella rete globale che si dipana tra Wall Street e Londra ed il loro obiettivo è quello di trovare un punto di equilibrio tra il ridimensionamento dell’euro e il non eccessivo deprezzamento del dollaro che comunque con il quantitative easing (cioè l’emissione inflattiva di moneta) ha ridato fiato alle proprie esportazioni. Grazie ad Obama, quello eletto dal popolo e premiato dalle banche con cospicui finanziamenti.
Un’ultima nota sui nostri BOT, che tanto successo hanno avuto nell’ultima asta. Trovate ci sia un collegamento tra l’aumento delle accise e delle tasse e quello dei tassi interessi che ci hanno promesso a liquidazione dei nostri investimenti?
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