La questione è unica per i diversi contesti che riempiono le pagine della nostra stampa: la Chiesa faccia pure il suo lavoro (anacronistico, fuori dal contesto sociale per sua natura, ma questo è un suo sacrosanto diritto).
Lo Stato dovrebbe invece tenersi fuori dalle nostre anime, dai nostri cuori, dalle nostre dimore.
Le questioni private come “di che morte morire” (per propria scelta ed eventualmente aiutati dai medici, in caso di situazioni limite), come e perché nascere (abortire o scegliere di mettere al mondo una nuova creatura), che tipo di persona scegliere per passare insieme la propria vita (uno del proprio sesso o dell’altro, una zia affettuosa, il proprio amico/a del cuore) salvaguardando i comuni diritti giuridici ed economici.
E così via, passando per innumerevoli casi in cui lo Stato dovrebbe tirarsi fuori, lasciare alla coscienza del cittadino le proprie scelte.
Altro è invece trascurare scelte di interesse collettivo, come i cibi transgenici, certe derive della ricerca genetica (accanimento scientifico?), oppure non preoccuparsi di incentivare la ricerca sulle energie alternative o su frontiere (es. le staminali) che potrebbero – nonostante le controversie di cui sono oggetto – aprire finestre determinanti per la nostra sopravvivenza individuale e collettiva.
Perché, invece di preoccuparsi se dare la morte o no a un poveraccio semivegetale, lo Stato non si preoccupa anche del degrado ambientale, che sta per portare alla fine prematura non un singolo individuo, ma l’intero pianeta?
Mentre ci preoccupiamo della questione dell’eutanasia, stiamo veramente accettando una ormai quasi inevitabile “eutanasia planetaria”?
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