L’animale che dunque sono, un libro di Jacques Derrida.

L'animale che dunque sono, un libro di Jacques Derrida
Un libro fondamentale per affrontare la questione dell'animalità.

L’opera di Jacques Derrida, L’animale che dunque sono, è un testo filosofico che affronta la relazione tra umanità e animalità, interrogando le implicazioni ontologiche e etiche di questa distinzione. Pubblicato postumo nel 2006, il libro raccoglie i contributi di Derrida a un seminario tenuto nel 1997, dove il filosofo esplora il concetto di “animale” in un contesto che va oltre la mera categorizzazione.

La questione dell’alterità.

Derrida mette in discussione la tradizionale separazione tra uomo e animale, suggerendo che tale distinzione è spesso basata su pregiudizi epistemologici, in particolare quelli derivanti dal pensiero cartesiano. La sua analisi si muove attraverso le opere di pensatori come Kant, Heidegger, Levinas e Lacan, per evidenziare come la filosofia occidentale abbia storicamente negato l’alterità dell’animale, relegandolo a un ruolo subordinato rispetto all’essere umano.

L’animale come specchio.

Un aspetto centrale del libro è l’idea che l’animale, in particolare attraverso lo sguardo di un animale domestico, possa riflettere la nostra condizione umana. Derrida utilizza il suo rapporto con la propria gatta come punto di partenza per esplorare il “disagio” e il “pudore” che proviamo di fronte all’alterità. Questo sguardo diventa un modo per interrogare la nostra umanità e le nostre responsabilità nei confronti degli altri esseri viventi.

Critica alla razionalità umana.

Derrida critica l’assunto che solo l’essere umano possa accedere all’ordine simbolico e alla capacità di ingannare. Sostiene che l’animale, pur non potendo mentire nel senso umano del termine, possiede una forma di intelligenza e strategia che sfida le categorizzazioni tradizionali. La sua riflessione invita a riconsiderare le modalità con cui definiamo la razionalità e l’intelligenza, suggerendo che l’animale potrebbe avere una forma di conoscenza e di interazione con il mondo che merita di essere esplorata.

L’animale che dunque sono è un’opera che spinge a riflettere profondamente sulla nostra relazione con gli animali e sul significato della nostra umanità. Derrida non offre risposte definitive, ma piuttosto provoca il lettore a interrogarsi sulle implicazioni etiche e filosofiche del nostro modo di pensare l’animale. La sua scrittura, pur complessa, è ricca di spunti che possono rivelarsi illuminanti per chiunque desideri esplorare il confine tra umano e non umano in un’ottica contemporanea.

Note ulteriori.

Derrida usa il termine animot al posto di animaux, anche se la pronuncia è la stessa. Perché lo fa? Perché mot in francese vuol dire proprio e solo parola. Per Derrida la differenza uomo-animale non risiede nel linguaggio, ma nella nudità (pudore).

Il “dunque sono” richiama Cartesio, che ha inaugurato il periodo a partire dal quale la garanzia di ogni sapere è stata indicata nella soggettività individuale. Prima era Dio che garantiva che la nostra verità fosse tale.

La certezza del sapere, per Cartesio, ci viene offerta dal dubbio. Questa affermazione riecheggia in parte ciò che Aristotele dice nel Protreptikon: “Anche per smettere di filosofare, bisogna filosofare”. Lo stesso avviene, in parallelo con l’animalità, di cui pensiamo e sappiamo di non poter fare a meno. Derrida cerca di evidenziare la sopravvivenza di questa dimensione animale.

Stimoli di Derrida: Heidegger, de Saussure (differenza significato-significante). Derrida rimane sulla linea cartesiana; Freud. In Derrida stordimento (Benommenheit) è tradotto con ebetude (ebetudine muta, abbruttimento).

Per Derrida l’in-quanto heideggeriano sarebbe un operatore che renderebbe superiore l’uomo rispetto all’animale. Anche Derrida si riferisce a Rilke.

In Derrida non esiste un solo limite tra umano e non-umano, ma ne esistono molti: fratture, eterogeneità, meccanismi differenziali. Animale incapace di fingere di fingere. L’animale sorge proprio nella differenza tra finta e inganno. Questione di cui Derrida dubita.

Mancanza dell’altro in quanto tale.

Heimweh: nostalgia.

Jeremy Bentham si pone la domanda (sugli animali): “Possono soffrire?”.

Attraverso la scrittura evidenziare la mancanza dalla parte dell’uomo, mancanza di un proprio dell’uomo.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.