di Sergio Mauri
Mi sembra di aver letto da qualche parte degli accenni sul fatto che staremmo vivendo una fase keynesiana in economia. Ciò sarebbe dovuto al fatto che il nostro debito è aumentato enormemente, soprattutto a causa della passata pandemia. Il debito è andato a finanziare settori socio-economici allo stremo.
L’aumento del debito, a mio avviso, è dovuto alla duplice necessità di:
- evitare il crollo produttivo del Paese
- evitare l’insorgere di questioni sociali che possano sfociare in disordini sociali
Tuttavia, Oltre ad aver personalmente criticato la fattibilità di un ciclo neo-keynesiano, credo di poter affermare che, quello attuale, non è un ciclo comparabile con quello passato (per esempio, crollo del ’29). Per i seguenti motivi:
- oggi non c’è il crollo economico che sia assimilabile a quello del ’29
- il mercato mondiale in cui si inserisce la crisi è totalmente diverso da quello del ’29, sia rispetto ai competitori che vi operano, sia rispetto alle modalità di controllo dei mercati
- nel ’29 si trattava di far ripartire l’economia, oggi si tratta di non farla schiattare. Due prospettive completamente diverse.
- una situazione di affollamento del mercato (con interi continenti fuori da esso) e demografica (molto diversa dall’attuale) permettevano quelle specifiche soluzioni.
La questione torna a essere semplice: l’immissione di denaro pubblico, in quantità ingenti, nel mercato deprime i profitti, la produttività e i salari. La spesa pubblica, ovvia in tutte le economie del mondo, tutte miste, può indirizzarsi alla realizzazione di opere pubbliche, ma non alla digitalizzazione.
Rimedi? Modificare la struttura industriale del Paese attraverso tecnologia, innovazione, opere pubbliche (come accennato al paragrafo precedente).