di Sergio Mauri
In nome di un certo ordine pubblico vengono presi certi provvedimenti che rappresentano una certa concezione di ordine pubblico. Per ordine pubblico si intende quell’insieme di principi della carta costituzionale, che danno una struttura etico-sociale ben chiara e riconoscibile alla società italiana (Cassazione civile, 2006). Quindi, è chiara la civiltà giuridica dell’ospitante a cui adeguarsi. Lo straniero vi si deve adeguare. Come civiltà giuridica si intende chiaramente il concetto di ordine pubblico del 2006. Dobbiamo, tuttavia, riempire di contenuti il concetto per farlo diventare una concezione. L’ordine pubblico, dunque, diviene evidente e produce effetti nel piano giudiziario. I principi, tuttavia, mutano nel tempo. Nella fattispecie abbiamo visto la questione del buon costume. Qui abbiamo una concezione che assume un valore statistico, fino a giungere a essere considerata nell’ambito della libertà di espressione. Gli esempi fatti nelle altre lezioni non vanno nel senso di un’apertura, ma verso un non-riconoscimento della diversità culturale. L’evoluzione giuridica è di volta in volta dettata dalle esigenze delle parti dominanti della società. Per quanto riguarda la pena, abbiamo visto la Sentenza del marzo 1988, la n. 364, in cui la Corte Costituzionale aveva affermato la funzione educativa della pena e solo quando la pena avesse una funzione deterrente (impossibile nella nostra Costituzione). La Cassazione ancorandosi all’art. 27 della Costituzione riconosce la rieducazione della pena come unica legittima nel nostro ordinamento, per evitare la strumentalizzazione del reo. Questa sentenza non cristallizza una volta per sempre la questione. Un anno dopo la Corte Costituzionale interviene con la Sentenza 282 del maggio 1989, dove si dice che non è possibile creare una gerarchia delle funzioni della pena, in particolare in quella rieducativa. Cambia la concezione dell’ordine pubblico per il problema della pena. Quindi, non si può gerarchizzare la funzione della pena. La Sentenza 306 del 1993 ribadisce la questione: è assegnata alla pena una varietà di funzioni: prevenzione sociale, difesa sociale, funzione distributiva, funzione rieducativa. Quindi dopo cinque anni ciò che prima era assolutamente escluso veniva ravvisato nel testo costituzionale. Non è ravvisata una gerarchia statica della finalità della pena, a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata. In cinque anni vi è un’evoluzione notevole, il legislatore può far prevalere l’una o l’altra, sempre nella ragionevolezza. Abbiamo, dunque, il famoso 41 bis, di cui l’11 novembre 2022 scade il periodo utile per intervenire, da parte del Parlamento, sul tema.
In quel periodo di tempo erano successe le stragi di mafia, per questo ci siamo ritrovati la 306/1993. Con la Sentenza 257 del luglio 2006, la Corte Costituzionale interviene di nuovo e afferma che le politiche criminali e il diritto in generale sono condizionati dalla dinamica sociale. Quindi, dobbiamo costruire un sistema flessibile in grado di rispondere di volta in volta alle esigenze emergenti. Il diritto deve essere in grado di intervenire dinamicamente. Teniamo conto che nel 2021 la Corte Costituzionale afferma che in quel momento una pena iper-afflittiva non sarebbe il caso, ma potrebbe ritornare utile in futuro. Il diritto, dunque subisce una costante evoluzione. Seguendo Karl Popper potremmo dire che un’affermazione giuridicamente vera è tale se è falsificabile. Come evitiamo che tutto ciò si trasformi in arbitrio? Facendo in modo che il rapporto tra regola a regolarità sociale sia costante. La regola non dovrebbe contravvenire le esigenze che promanano dalla società. Vi è un rapporto dialettico tra regole giuridiche e sociali.