Questo articolo nasce per smentire l’affermazione dominante intorno al gigante tedesco che recita più o meno così: “la Germania non fa politica, dopo i fatti della seconda guerra mondiale, fa solo economia“. L’affermazione mi è sempre parsa insufficiente, per cui ho ripreso le vecchie cose degli anni ’90, anni più importanti di ciò che si pensa di solito, per illuminare i miei dubbi e forse scioglierli. Mi è capitato, allora, di rileggere un interessante articolo di Joseph Halevi, datato 13/9/1996, scritto per il Manifesto, nel quale, come per incanto, sono previste, per linee generali, alcune cose, alcuni fatti, che poi si sono esplicitati con chiarezza negli anni successivi. Il titolo dell’articolo era “Le mire di Kohl“. Il sottotitolo recitava: “L’unico alleato di Washington nella crisi del Golfo è il governo di Bonn, che dopo aver favorito la frammentazione dei Balcani punta a un indebolimento dell’Iraq a tutto vantaggio di Ankara“. Niente male come assaggio, vero? Vale la pena, ogni tanto, di andarsi a rileggere le cose di qualche anno fa, tanto per non perdere il filo del discorso, tanto per comprendere come siamo arrivati all’oggi. Il momento storico in cui esce l’articolo è, per l’Europa, assai convulso. I paesi d’Europa, Germania esclusa, sono impegnatissimi nel discutere i parametri di entrata nella EU, nel solco del Trattato di Maastricht. Tutti, esclusa la Germania, sono impegnati a contorcersi intorno ai criteri di convergenza monetaria e trattano sotto banco per migliorare la propria posizione su specifici aspetti del trattato. E, tuttavia, l’opinione pubblica non ne sa nulla. Dopo molto tempo si saprà, ad esempio, che l’Italia falsificò i dati del proprio debito pubblico per rientrare nei parametri del trattato, omettendo in particolare, i dati sul debito delle P.A, verso le aziende. Fu, comunque, “merito del giornalismo britannico di aver messo il dito sulla piaga dimostrando l’esistenza di un accordo implicito tra Londra a Bonn a proposito della crisi jugoslava. La Gran Bretagna accettava la posizione tedesca per il riconoscimento di ogni secessione unilaterale della federazione jugoslava, mentre la Germania contraccambiava accogliendo la richiesta di Londra di esonerare dalla Carta dell’Europa sociale la propria adesione a Maastricht. […] Infatti, la defezione britannica ha avuto come effetto quello di vanificare la posizione francese piuttosto contraria, come già era stata quella di Londra, a smembrare violentemente la Jugoslavia“. Tuttavia anche la crisi mediorientale costituisce un caso in cui le divergenze, anche aspre, all’interno dell’Europa, in particolare per ciò che riguarda la sua politica estera, non vengono apertamente dibattute. Parigi fu in disaccordo con Washington sulla questione irachena, mentre l’appoggio di Bonn agli americani fu reale. La Francia ha ripreso ad avere una sua politica in Medioriente. Ad esempio “…l’accordo per il disimpegno dei civili dal conflitto tra Israele e i guerriglieri nelle zone del Libano meridionale occupato da Tel Aviv, mandò su tutte le furie Washington. Ed impedì che, Stati Uniti e Israele premessero affinché la questione della guerriglia nel Libano del sud venisse inserita nel pacchetto della trattativa per la restituzione del Golan alla Siria. Parigi è contraria alla messa sotto tutela politica del mondo arabo da parte degli USA, appoggiati dall’asse militare tra Turchia e Israele. Ma il prossimo capoverso, che cito, è assai chiaro e prefigura ciò che poi è successo: “…bisogna considerare il vuoto che si aprirebbe se anche Damasco fosse sottoposta ad uno status di precaria sovranità, per di più attraverso azioni di guerra. La crisi dei regimi militar-nazionalisti arabi viene ormai colmata da forze islamiste o comunque non laiche.” E allora diventa prioritario rimodellare le entità statuali dei paesi arabi. Per farlo è necessario sostenere le forze islamiste pro-occidentali. “Gli USA hanno una lunga esperienza in questo campo, basti ricordare l’appoggio a fondo perduto al regime militare iper-fondamentalista di Zia Ul Haq in Pakistan“. Come sappiamo, “….il perno della loro presenza nel mondo arabo è l’Arabia Saudita, considerata come la maggiore fonte di sostegno del terrorismo in Algeria“. Questo ci dimostra che “gli Stati Uniti hanno gli strumenti e la mentalità adatta per assorbire ed egemonizzare i movimenti islamisti. La legittimazione della spinta islamista farebbe precipitare in una crisi catastrofica la presenza francese in Medioriente e soprattutto in Africa settentrionale.” La cosa da sottolineare è che tutti questi problemi non toccano la Germania. Il conflitto in Bosnia non ha solo confermato la supremazia politica di Bonn per ciò che concerne le questioni europee, ma ha anche rafforzato i rapporti tra la Turchia e la Germania e fra Ankara e Washington. Di fondamentale importanza, in questo caso, la quasi simultaneità della crisi del Golfo con il disfacimento dell’URSS e della Jugoslavia. I grandi giornali italiani “sarebbero stati in un’ottima posizione per informare sul ruolo svolto dalla Turchia nel conflitto in Jugoslavia, invece è a Atene che si possono raccogliere le migliori informazioni sull’invio da parte di Ankara di armi ( e non solo) in Bosnia e appoggi di ogni tipo ai gruppi musulmani. L’espansione turca verso la Bulgaria e i Balcani iniziò al primo manifestarsi della crisi all’est, prima della guerra croato-serbo-musulmana“. Per la Germania la Turchia ha assunto un ruolo sempre più importante in quanto alleato e per inoltrarsi sia nei Balcani che verso l’Asia centrale e sovietica. Ovviamente il capitale turco non è in grado, con le sole proprie forze, di espandersi nell’area ex-URSSE’ una condizione comune agli altri paesi europei, eccettuata la Germania che ha forza produttiva, tecnologica e finanziaria per affrontare la sfida dell’espansione verso oriente, fino ai confini con la Cina. La Turchia, allora diventa un punto fondamentale di snodo tra l’Europa e le risorse energetiche del Caucaso e del Caspio. E’ evidente, allora, che “… la Germania è interessata al rafforzamento di Ankara nella zona del Medioriente e vede in maniera positiva un ulteriore indebolimento della sovranità territoriale irachena. In realtà le reticenze turche verso l’azione di Washington, sono una finzione per non scontrarsi troppo col mondo arabo.” E una volta cessati i bombardamenti e invaso l’Irak nel 2003 è stata ben felice di riempire il vuoto lasciato dalle nuove limitazioni imposte all’Irak.
L’espansione della Germania, gli Stati Uniti e il mondo islamico. E la Francia che non vuole uscire di scena.
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