Si è detto molto, nei secoli, dei contenuti ipocriti, contradditori, ambigui, liberticidi e regressivi del cattolicesimo. Personalmente sono agnostico, per cui non mi interessa schierarmi a favore o contro una forma di affezione spirituale. Spesso si sorvola sul fatto che esistono ed esisteranno sempre delle persone bisognose di un conforto dell’anima, da qualsiasi parte esso venga. Frequentemente, ci si dimentica che una religione, quella islamica, addirittura immediatamente dopo la sua nascita, si pose come contraltare alle rigidità e alle grettezze del cristianesimo allora imperante ed ancora non diviso al suo interno, in tutta l’area civile dell’Europa e del Medio-Oriente. Questo non per rivalutare l’Islam, ma per riportare un dato di fatto, tuttora presente nel sentire di quelle comunità.
Su La Stampa del 24 dicembre 2011, il giornalista Andrea Tornielli intervista Carlo Maria Martini, Arcivescovo emerito di Milano, diocesi molto importante sia in Europa che nel mondo. L’occasione è delle più ghiotte: dare un indirizzo, una parola buona che guidi il “gregge” per l’anno a venire.
La crisi economica fornisce il contesto; perciò si parla di sobrietà, di lavoro che manca, di trasmissione di fiducia ai giovani (pacche sulle spalle…) i quali, tuttavia, vivono in un’impotente rassegnazione. Il Cardinal Martini, da buon lobbista cattolico ricorda che “ci sono nel mondo tante forze che agiscono per la costruzione di una società più giusta”. Egli non si sbilancia a dare un nome a queste forze, ma è ovvio che egli non si riferisca solo agli uomini di buona volontà, ma piuttosto al mondo cattolico istituzionale, volontari compresi. Certamente, nel mondo queste forze ci sono, ma si sbaglia a dar loro un connotato moralistico (buone, cattive) e di sicuro, sulla loro presenza ed incidenza quotidiana, non serve scomodare un uomo di religione per capirlo, ma basterebbe fare uso della statistica: fra le tante azioni compiute dall’umanità, quotidianamente, sul pianeta terra, qualcuna positiva o costruttiva ce ne sarà pure, sant’Iddio!
E’ sotto gli occhi di tutti come il Natale si sia snaturato e sia diventato un evento materialistico e di consumo invece che momento per evangelizzare, supportare chi è in difficoltà, dare concreta attuazione alla carità proprio in quanto virtù teologale. Per il Cardinal Martini, invece, nessun accenno nemmeno all’evangelizzazione, buio sulla e sulle virtù teologali, mentre il tutto si svolge semplicemente in una dimensione in cui il Natale si presenta in “forme spurie”, purtuttavia segno della “dedizione incredibile di Dio per l’uomo” e “fonte di riflessione teologica e filosofica senza fine.” Punto.
Tuttavia, mentre egli afferma “in questa condizione di crisi il Natale è fonte di speranza”, egli aggiunge che “le cose di questo mondo valgono poco o sono soggette al giudizio di Dio”. Bene, ma allora perché parlarne, perché concedere un’intervista se ciò di cui si parla non ha valore? Immaginate un dottore che, di fronte ad un vostro serio problema medico vi dica che la realtà che state vivendo vale poco e che bisogna rimettersi al giudizio di Dio. Che cosa pensereste di quel dottore? Sicuramente che sta lavorando per un episodio di candid camera in cui voi siete gli ospiti d’onore. Ma è inutile scomodare la logica quando si parla di fede: o ci credi o non ci credi. O ci caschi o non ci caschi.
E’ nella coscienza di tutti, ormai, la difficoltà dei giovani ad avere o solo progettare un futuro. Ma per il Cardinal Martini si tratta semplicemente “di una situazione molto dolorosa”. Niente di nuovo, lo sapevamo anche noi. Di una sorta di male necessario, quindi, al quale non ci si deve e nemmeno ci si può ribellare. Ai giovani deve bastare sapere “che il Paradiso lo si conquista attraverso sacrifici e che la sobrietà, in sé, è un vero sacrificio”. Perciò, i giovani gioiscano, le privazioni sono cosa buona e giusta. La Chiesa Cattolica, da secoli, non riesce ad aggiornare i propri pilastri ideologici come, ad esempio, hanno fatto le Chiese Protestanti, dando la sensazione che essa, al contrario, non faccia altro che fornire un apparato giustificatorio alle sperequazioni sociali ed al malgoverno imperanti. Viene il sospetto che Mario Monicelli avesse ragione quando diceva che la pazienza e la rassegnazione erano delle mere invenzioni delle classi dominanti per mantenere, in eterno, i propri privilegi. In barba a tutte le belle dichiarazioni, ipotetici impegni e i buoni propositi.
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