di Sergio Mauri
Dopo l’articolo di ieri su Sanna Marin, un caso dovuto anche a una certa avvenenza della signora, ma comunque usato, sfruttato senza problemi per fare soldi, oggi parlerò di Chiara Ferragni, l’influencer. Premetto che non è il mio modello di vita, non sono un giovane (anzi una giovane direi) che si riferisce a lei per organizzare il suo abbigliamento, ma seguo un po’ le vicende che hanno visto lei e il marito al centro di polemiche, a volte costruite sul poco.
Comunque, devo dire che, come comunicatori non sono, lei e il marito, particolarmente bravi o innovativi, ma efficaci si e si vede dai risultati che hanno raggiunto. Complimenti in ogni caso.
Sulla questione emersa in questi giorni intorno alla libertà di poter abortire (e qui vengono alla mente i casi più scabrosi e difficili in cui si può trovare una donna) non posso che trovarmi d’accordo con la Ferragni, anche se, non sono un abortista per principio. Anzi, come la maggior parte di quelli che sostengono questa legge, lo vedo come estrema ratio, ma proprio estrema nel caso non ci siano proprio alternative per la donna che deve decidere. Questa vicenda, nata su Instagram (e qui ancora si presenta chiaramente l’importanza che rivestono i social media, particolare frutto della rivoluzione di Internet) ci dimostra che:
- I politici, soprattutto di certe aree politiche, sono incapaci di far partire una polemica a loro favore
- Che la Ferragni, virtualmente, potrebbe diventare un leader politico di “tipo nuovo” proprio grazie allo spazio vacante che una politica vissuta come “amministrazione di condominio” ha lasciato aperto
- Che, nonostante la comprensibile contrarietà di Massimo Cacciari, che tempo fa ci riportava la sua opposizione ai referendum online notando che la Ferragni potrebbe farne 500 al giorno, l’utilizzo della tecnologia con finalità sociali, politiche, anzi in tutti i campi dell’umano ha portato alla sostituzione dei vecchi modelli di partecipazione con ciò che abbiamo davanti agli occhi.
La questione quindi concerne l’efficacia di un’influencer in grado di ricordarci una cosa di civiltà, mentre quelli che dovrebbero farlo (i politici) non vengono rilevati dai radar nemmeno a pagarli. Una brutta storia, mitigata solo dal fatto che l’irruzione mediatica è per una giusta causa.