Sembra un paradosso, ma purtroppo non lo è. Rispetto alle informazioni correnti che dipingono lo Stato Islamico ed i suoi combattenti come un insieme di pazzi scatenati, dediti ai sacrifici umani, io li inquadrerei invece come dei pragmatici che utilizzano tutti gli strumenti a loro disposizione per portare avanti la causa per cui combattono. Se anche l’antimperialismo può servire, ben venga. Chiaramente stiamo parlando di un antimperialismo reazionario, se l’ossimoro può reggere, nulla di veramente liberatorio. La forza di questo progetto, tuttavia, risiede nella mancanza di un movimento antimperialista, di sinistra e socialista a scala mondiale. Dopotutto, se l’Iraq o l’Afghanistam sono occupati chi è che dovrebbe liberarli, i pacifisti da spiaggia europei?
L’ISIS si trasforma da un fenomeno di terrorismo jihadista in un movimento internazionale antimperialista. Nel mondo islamico questo messaggio ha attecchito, da Boko Haram a al Shabaab in Somalia, dall’Africa centrale alla penisola arabica fino al sud est asiatico. Ovviamente, l’imperialismo è quello occidentale, per cui è automatico associare la guerra all’imperialismo la guerra contro l’Occidente.
Attecchisce anche in Europa dove madri islamiche nate in Europa hanno deciso di diventare le madri dei futuri combattenti islamici e le mogli di quelli attuali. Anche scegliendo di morire facendosi saltare in aria. Il messaggio dello Stato Islamico è in grado di sedurre milioni di persone, ed è un messaggio che si articola tra liberazione nazionale, promessa di un futuro prospero per tutti i musulmani sunniti e riscatto dalle ingiustizie subite.
Senza affrontare questo problema e dargli delle risposte efficaci, noi non usciremo dal casino in cui siamo.
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