La politica fiscale italiana non è razionale.
Essa si sviluppa lungo un asse i cui estremi sono, da una parte l’evasione totale, dall’altra gli studi di settore.
Se sapete tutto sull’evasione fiscale, sono pronto a scommettere che non avete idea di che cosa siano gli studi di settore.
Scrive l’Agenzia delle Entrate:
Gli studi di settore, elaborati mediante analisi economiche e tecniche statistico-matematiche, consentono di stimare i ricavi o i compensi che possono essere attribuiti al contribuente.
Per “contribuente” si intende il lavoratore autonomo e l’imprenditore piccolo, micro o medio-grande che sia. Perciò:
1) non si fa differenza tra un locale in Piazza San Marco a Venezia ed uno situato alla periferia di Montalbano Jonico: due polli per il primo e zero per il secondo fanno una media di uno, giusto?
2) non si tiene conto del punto di partenza dell’azienda, al momento di introdurre nella stessa modifiche strutturali all’organico.
Infatti: se devo assumere una persona, magari un giovane, l’Agenzia delle Entrate non mi riconosce più la congruità del fatturato su cui nulla aveva eccepito fino a ieri, ma mi dice che devo aggiungere (per magia?) nel fatturato gli oneri del dipendente, stipendio incluso.
Questa azione “magica” presuppone un aumento fittizio del fatturato, quindi si attua un falso ideologico. Tuttavia, essendo l’illegalità commessa dallo Stato, nei termini di legge da esso stesso previsti, ogni contrasto a questa pratica feudale cadrà nel vuoto. Tutto ciò con buona pace dei nuovi posti di lavoro tanto strombazzati da Renzi: nessuna delle aziende medio-piccole che non ha una proiezione all’export (l’80% circa del totale) avrà voglia di assumere in queste condizioni.
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