Il luogo comune più diffuso nei media occidentali mainstream fino ad un paio di anni fa, intorno alla Cina, consisteva nell’attribuire al processo contro Bo Xilai e sua moglie, un punto di non ritorno che segnava la definitiva vittoria dell’ala liberista del PCC ai danni della sinistra dello stesso partito. A circa tre anni di distanza dalle fasi iniziali del processo a Bo e a sua moglie, conclusosi con la condanna all’ergastolo del primo e alla pena capitale per la seconda, molte cose sono successe nella “terra di mezzo”, dal punto di vista giudiziario. Tuttavia nulla è accaduto a senso unico, la sensazione è che il processo a Bo Xilai sia stato l’apripista per il dispiegamento di una nuova strategia organizzativa e di riassetto dei poteri tra Partito e Stato cinese. Una sorta di microesperimento, quello intorno al caso Bo Xilai, per sondare gli umori del paese.
Se si vuole capire ciò che stà succedendo e cosa c’è in ballo, bisogna conoscere alcuni aspetti determinanti che stanno sullo sfondo della scena, e questi aspetti sono, fondamentalmente, di due tipi: economico e politico. Quello economico consite nel new normal con caratteristiche cinesi. Il rallentamento cinese è causato da una serie di fattori secondari, come il raffreddamento della domanda occidentale, ma la questione principale, il fattore determinante, è ben più importante e di cruciale valenza ed ha a che fare con l’incognita di uno sviluppo senza più punti di riferimento. Si rallenta perché la strada che stà davanti è dissestata e inizia ad imbrunire.
Fallito il modello neoliberista occidentale, fallito quello sovietico, la Cina non si può permettere alcun salto nel vuoto che metterebbe a repentaglio il lavoro fin qui svolto nella direzione di rendere il paese indipendente economicamente e politicamente. Un lavoro non ancora concluso e che ha permesso di sfamare una popolazione enorme e di creare quelle strutture produttive e distrubutive in grado di caratterizzare la “terra di mezzo” in senso moderno, al passo con i tempi. Rallentare la macchina è stata l’unica risposta possibile. Una risposta molto intelligente e lungimirante.
Sotto l’aspetto politico è necessario sapere che Xi Jinping è il primo presidente cinese non designato da un predecessore. Non è quindi sottoposto a quella serie di obblighi politici, ma anche personali, che avevano i suoi predessori che furono designati da Deng Xiaoping, il vero capobastone del dopo Mao e del nuovo corso cinese. Nuovo corso necessario per la sopravvivenza del Partito e della Cina come potenza egemonica – almeno in potenza – in Asia e nel mondo. Nella sequenza di successori di Deng, Jian Zemin, Hu Jintao e Wen Jiabao, quest’ultimo Premier del Consiglio di Stato, ciò che ritorna oggi è il pensionamento forzato di tutti gli uomini che sono stati parte di quel sistema di discendenti del grande capo, che hanno, si, fatto grande la Cina, ma che oggi rischiano di farla deragliare, se non rallentano lo sviluppo orientato alle esportazioni e sviluppano un mercato interno. Questo è il punto di contatto con la questione economica, questione che in realtà determina la tempistica dell’agenda politica.
E’ idea molto diffusa in Cina che Xi Jinping, e il collegio politico di cui è espressione, sarà in grado di cambiare molte cose, sia nell’economia che nella politica, grazie alla libertà di cui gode. Sarà lui ad aprire la strada al prossimo collegio. Sono in arrivo cambiamenti enormi che, tuttavia, non metteranno in crisi la tradizione del paese nato nel ’49 del secolo scorso, ma permetteranno di affrontare al meglio le sfide sociali che pendono sopra tutti noi.
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