E’ importante affrontare il tema del fallimento della classe dominante che da circa due secoli promette libertà, diritti e democrazia, ma regala sfruttamento e guerre. Dobbiamo chiedere conto ad essa dello stato in cui versa il pianeta, a seguito del suo sviluppo economico e sociale totalitario fondato sull’accumulazione del capitale.
Sono passati più o meno due secoli da quando siamo entrati nel ciclo storico della borghesia come classe dominante. La sua affermazione è stata possibile grazie alla sua progressiva emancipazione dal giogo delle classi nobili. Il fenomeno della tesaurizzazione (1) e quello dell’esproprio dei mezzi di sussistenza delle classi depauperate (2) al tempo stesso ha consentito questa polarizzazione in poche mani della ricchezza e dei mezzi per produrla. A nulla sono serviti gli appelli morali o la cultura cristiana ad evitare tragedie, nefandezze e miseria generalizzata. Inutile parlare – per l’appunto – della violenza con cui tale condizione di superiorità è stata raggiunta. Si tratta in primo luogo di una coercizione economica la quale poi ha l’appoggio dello Stato, reale comitato d’affari organizzato anche militarmente, della borghesia.
Non solo questi fenomeni sono stati analizzati – e stigmatizzati – da economisti che nulla avevano a che spartire col Socialismo degli albori, come Smith e Ricardo, ma le loro analisi piene di contenuti problematici sono servite proprio a Marx e al movimento socialista per inquadrare il fenomeno, anche nei suoi risvolti ideologici, e a dare una coscienza del proprio stato ai subalterni, conferendo loro una visione e una strumentazione che gli permettesse di uscire da una condizione di oggettiva oppressione. Peraltro di questa coscienza fu innervata – seppure con molti distinguo – anche l’esperienza politica del Repubblicanesimo Risorgimentale che giunse fino agli Azionisti (fino agli anni dell’immediato secondo dopoguerra) a cui, al limite, ma proprio al limite, potremmo contestare il fatto di non essersi mai saputi rendere veramente autonomi dalla classe dominante borghese, appunto. Ma di cui nessuno può negare la coscienza dello stato (inteso sia in senso politico-amministrativo sia economico) in cui versavano le classi subalterne dell’epoca.
Lo stesso errore lo potremmo imputare anche a molti comunisti, comunque, che ancora oggi continuano a fare una politica del “male minore”, invece di formare dei quadri che siano coscienti della propria alterità rispetto al sistema. Il problema è quello delle élites intellettuali: esse oramai, dal sindacalismo alle organizzazioni politiche, sono le élites classiche totalmente integrate nella struttura della classe dominante.
Fatto sta che in questi due secoli concetti generici quanto plasmabili in qualunque modo a seconda delle esigenze di chi domina – come democrazia, libertà, diritto, ecc. – sono diventati armamentario borghese, declinati unicamente nel senso della necessità di sopravvivenza di questa classe sociale. Mentre si declinavano questi luminosi concetti, nascondendo che essi erano un grimaldello per omologare l’ambiente sociale ai propri obiettivi e per attaccare chi si opponeva ad essi smascherandone le intenzioni, allo stesso tempo assistevamo a guerre per la spartizione di aree di influenza, in Europa come nel resto del mondo (dove stragi coloniali furono perpetrate con la copertura ideologica di teorie se non apertamente razziste nel senso hitleriano del termine, almeno “differenzialiste”). Resto del mondo, dove proprio i subalterni erano obbligati a combattere per interessi che non si potevano decentemente definire “propri”, dove la miseria causata dalle sperequazioni classiste imposte dal sistema capitalistico causavano morti per inedia e malattie da far accapponare la pelle. E dove, a chi si ribellava alle condizioni esistenti, veniva riservato il piombo dei plotoni d’esecuzione o degli eserciti “bianchi”….. ma lordi di sangue. E assistevamo a due guerre mondiali, 50 milioni di morti durante la seconda, in Europa, ormai del tutto dimenticati, segno di quanto considerazione abbia la vita umana per questi falsi cultori dei “diritti dell’uomo”. Guerre la cui responsabilità operativa non può che essere ascritta al capitalismo europeo nel suo complesso e non solo a quello italo-germanico.
Dal secondo dopoguerra non abbiamo assistito alla pace, ma ad un mero spostamento del fronte, dove le guerre, ma anche le lotte sanguinose per la sopravvivenza di interi popoli (decolonizzazione in Africa ed Asia, movimenti di liberazione in America latina) , sono state allora all’ordine del giorno. Mentre questa classe egemone, grazie al potere economico totalitario, predicava i “diritti dell’uomo” a coprire i propri interessi particolari, essa non solo sparava ed uccideva, ma cancellava intere culture nel mondo per sostituirle con la propria, cosa di cui ci accorgiamo solo in questi ultimi decenni, chiamandola globalizzazione, quando ormai è troppo tardi per salvarle.
In contemporanea al rafforzamento dei concetti di libertà, democrazia, diritto, ora “diritti dell’uomo” – ennesimo grimaldello per arrogarsi il “diritto” di intervenire imperialisticamente laddove i propri interessi economici lo richiedano – ma sempre ben occultati come in Irak – ci si ritrovava di fronte alla creazione forzosa di questo universalismo borghese – non semplice somma aritmetica di quei concetti – che deve tuttora servire da “estrema ratio” per una autodifesa dei dominanti. Esso è stato talmente efficace da aver intaccato le coscienze dei più, identificandosi questi, oramai, con la stessa classe dominante di cui sono una ridicola scopiazzatura (dall’operaio col nuovo fuoristrada acquistato a debito, all’immigrato che vuole diventare occidentale) e semmai, massa di manovra. E’ indubbio che questa classe abbia imparato una grande lezione storica attraverso le rivoluzioni che l’hanno messa in discussione nel ‘900 ed è indubbio che essa si sia accorta che è meglio avere dei subalterni, in Occidente, intorno ad essa, in condizioni socioeconomiche non miserabili, sia come cuscinetto verso i miserabili veri, sia come struttura sociale in grado di assorbire le esigenze di riproduzione economica del capitalismo. Ecco la nuova via, il neocapitalismo, incentrato sul consumo, snodo essenziale e in prospettiva da riprodurre il più ampiamente possibile, per la sopravvivenza del sistema fondato sull’estorsione di lavoro non-pagato dalla quale accumulare capitale.
E’ indubbio il fallimento della borghesia come classe dominante ed egemone, quella stessa classe che ha sempre promesso (ed ha avuto due secoli per dimostrarlo) il “migliore dei mondi possibili”, ma di cui continuiamo a vedere solo la faccia violenta e senza scrupoli, ed è ora di presentarle il conto. (3) Innanzitutto dal punto di vista morale. E a chi si identifichi con essa, perché ritiene di avere “qualcosa da perdere” dalla sua fine, a questo punto chiediamo di guardarsi allo specchio e di chiedere il conto a se stesso.
(1) Fenomeno di accantonamento ed occultamento di denaro che viene sottratto dal ciclo economico. Possibile nel medioevo in quanto la produzione per il profitto che andava reinvestito in maniera sempre più allargata, non era assolutamente affermata. Quest’ultima è resa possibile dall’industrializzazione.
(2) Attraverso la separazione tra i produttori diretti, trasformati in operai salariati, e i mezzi di produzione che, concentrati nelle mani degli imprenditori, si trasformano in capitale. E’ un processo tipico dello sviluppo capitalistico.
(3) Il risultato di questo miglior mondo possibile è che la maggioranza degli esseri umani vive – oggi – in condizioni penose.
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