di Sergio Mauri
Eccovi qui a parlare di un “fenomeno” (se così possiamo dire) di cui tutti noi siamo stai in qualche modo testimoni: i meme pseudo-sociali e/o pseudo-psicologici. Un fenomeno abbastanza pervasivo e interessante. Nonché strano: un bel po’ di gente che posta meme su quanto siano stronzi gli altri o quanto sia crudele la vita. Oppure con massime in grado di migliorartela la vita. Come classificare questo esercizio dell’ovvio e/o della frustrazione?
Aspettative insoddisfatte, approccio sofferto e contrastato verso il prossimo, vita problematica?
Ma soprattutto: ci sono persone che postano sui loro stati di WhatsApp o Facebook, solo questo tipo di cose per mesi o anni! Uno alla fine si chiede se tutto ciò non sia piuttosto un fenomeno depressivo di massa, visto che non è possibile sentirsi sempre oggetto di attacchi da parte di qualcuno oppure vittima di un qualche contesto sociale, che poi non è che quello della quotidianità di tutti.
L’estensione di noi stessi rappresentata dalla sfera digitale, di sicuro non facilita l’approfondimento interpersonale, ma io proporrei, in aggiunta a quanto detto nelle righe precedenti, una lettura più semplice e immediata del fenomeno: siamo sempre noi, fuori o dentro il web, che duplichiamo nella sfera digitale ciò che ci caratterizza, il nostro carattere, l’immaginario di cui facciamo parte, i valori che contraddistinguono la nostra comunità. Nulla di più, nulla di meno. E, tuttavia, il sospetto che si tratti di una psicopatologia a bassa intensità e di massa, rimane.