di Sergio Mauri
Il non-detto non è un contenuto di pensiero che ci viene sottratto, è piuttosto un punto sorgivo del pensiero, in questo caso di Platone. Qualcosa che è non dicibile e non formulabile.
Il testo di Heidegger è spiazzante. Propone una tesi spiazzante: la questione della verità proviene dal mito della caverna di Platone. Heidegger è famoso per interpretazioni un po’ forzate, sicuramente in controtendenza. Nella prefazione al secondo libro su Kant, Heidegger affronta la questione dello “scandalo delle sue interpretazioni”. Gli storici della filosofia hanno ragione, dice Heidegger, dal loro punto di vista, quando accusano di forzature e si scandalizzano intorno a un “dialogo di pensiero tra pensatori”. Heidegger intende qui il proprio dialogo con Kant. Nel dialogo è più facile l’errore e più frequenti le mancanze, aggiunge Heidegger. La ricostruzione non può essere quella dello storico; è un dialogo fra pensatori, fra Heidegger e Platone.
È un’operazione più esposta all’errore ed è possibile ci siano delle mancanze. Ma non si tratta di una excusatio non petita[1]. Non si tratta di interpretare un filosofo a estro. Si tratta invece di assumersi il rischio di una possibilità di errore, assumendoci la responsabilità del far dire all’interlocutore determinate cose. Si tratta di fondarsi su altre premesse ed elementi rispetto a quelli della filosofia della storia.
Heidegger dialoga, forse, ancor più con Aristotele e lo fa relativamente alla pubblicazione di Essere e tempo.
Heidegger nella Dottrina platonica si dirige verso una concatenazione estremamente importante tra la verità e la paideia (formazione). Pais significa fanciullo: educazione e formazione del fanciullo.
Pag. 172: Heidegger dice che l’anima si deve rivolgere nel suo insieme all’obiettivo cui tende. Vediamo bene solo se assumiamo con l’intero nostro corpo una posizione adeguata. È un esercizio che coinvolge l’individuo nel suo intero esserci. Non si fa filosofia come se si esercitasse qualsiasi altra branca del sapere.
Platone dice che il filosofo non si deve confondere col sofista. Anche i sofisti dispongono di certe tecniche, di certe competenze.
Ma qui si parla dell’anima che deve rivolgersi all’obiettivo cui tende. È l’intero uomo che deve modificare l’intero atteggiamento. Orientarsi verso un qualcosa di diverso dal proprio ambito, verso l’esterno della caverna. Qui Heidegger afferma che l’esserci (non l’uomo) è apertura verso tutto ciò che gli sta attorno.
Paideia: mutamento e adattamento dell’essenza dell’uomo rispetto all’ambito che gli è assegnato. Heidegger, tuttavia, dice che paideia è intraducibile. Per Platone è conversione (periagoghé) dell’intera anima (psyché). Apaideusia (mancanza di paideia, vista l’a privativa) e paideia (un tirarsi fuori dalla mancanza di paideia) sono i due termini opposti, del discorso.
Paideia è una guida di tutto l’uomo verso una tensione per prendere le distanze dal fondo della caverna. Paideia non è acquisizione di competenze.
Bildung in tedesco traduce meglio il termine paideia. L’opposizione essenziale alla paideia è costituita dall’apaideusia, dice Heidegger, mancanza di un modello determinante (paideia). Apaideusia quindi non è ignoranza. È un altro atteggiamento fondamentale che deve investire l’essere dell’uomo. C’è sempre un collegamento tra tensione e mancanza di tensione verso la “conversione dell’intera anima”. La forza simbolica del mito della caverna si esplica nello sforzo di mettere a fuoco cos’è paideia. Col racconto Platone ci dice che la paideia non è un travaso di conoscenze.
Il luogo essenziale dell’uomo è fuori dalla caverna che gli permette il pieno sviluppo delle sue facoltà. Per far uscire l’uomo dalla caverna è necessario un lavoro di formazione. L’uomo deve “abituarsi” alla luce del sole.
La furbizia di Heidegger è quella di informarci sulla rilevanza di paideia e apaideusia. È da lì che prende avvio ed è fra questi due poli che si esplica il racconto.
Il percorso del filosofo non è verso il sapere, ma verso il mutamento della direzione dell’essenza dell’uomo. L’uomo qui è coinvolto con l’intero suo esserci. Non è una pratica qualsiasi. Il mito della caverna illustra l’essenza della formazione, ma poi abbiamo un brusco mutamento di direzione verso la questione della verità.
Finora abbiamo visto: ciò che Platone ha detto sulla paideia. Noi invece, dice Heidegger, dobbiamo condurci alla dottrina platonica della verità. L’interpretazione, dice Heidegger, minaccia, però, di finire per inficiare il testo, per distorcerlo e violentarlo. Heidegger passa per uno che fa violenza ai testi. Può verificarsi una degenerazione interpretativa. Heidegger ci dice che dobbiamo ora vedere cosa c’entri la verità col discorso complessivo del mito della caverna. Tuttavia, dice Heidegger, dovremmo essere consapevoli che il pensiero di Platone è determinato da un mutamento dell’essenza della verità. Legge nascosta, non detto. Ciò che il pensatore dice è governato da una legge nascosta a lui stesso. Tutto ciò che dice è determinato da questa legge nascosta.
Ma se il mito può illustrare entrambe le cose (paideia e verità) ci deve essere una relazione essenziale tra formazione e verità.
Solo l’essenza della verità e le modalità del suo mutamento rendono possibile la formazione nella sua struttura fondamentale.
Questa struttura fondamentale non è una acquisizione di competenze. Si tratta di un mutamento di tutto l’uomo verso uno stato diverso.
[1] Excusatio non petita, accusatio manifesta è una locuzione latina di origine medievale. La sua traduzione letterale è “Scusa non richiesta, accusa manifesta”, forma proverbiale in italiano insieme all’equivalente “Chi si scusa si accusa”.