In Europa si è compiuto un processo di razzializzazione che vede i musulmani posti nell’ultima posizione della scala sociale. Questo processo è funzionale alla valorizzazione del capitale e serve, soprattutto, a polverizzare l’unità di classe dei lavoratori, abbassandone dunque il valore di mercato e la forza contrattuale. L’operazione è iniziata ben prima dell’attuale crisi economica ed aveva, nelle intenzioni di coloro che controllano il sistema economico ed anche quello mediatico e informativo, l’obiettivo preciso di impedire qualunque forma di solidarietà tra europei neo-poveri ed ex-garantiti e le masse proletarie degli immigrati di ogni parte del mondo, ma in particolare quelle che si vanno affermando come più numerose e consistenti, quelle islamiche.
Sul piano politico viene anzi posta la questione fondamentale di considerare l’Islàm un pericolo per ogni Stato cosiddetto democratico. È evidente che ogni questione identitaria e sociale, ed in particolare quella del e sull’Islam, diventi dirompente in ogni discorso politico, poiché si dà più peso a chi articola il discorso piuttosto che al contenuto dello stesso. Ci si interessa e si valuta di più CHI (parla, chiede) rispetto a COSA viene chiesto, detto.
Questa constatazione empirica ci porta dritti alla verifica della razzializzazione della società europea, che presuppone una visione d’insieme, una contestualizzazione culturale razziale della nostra società. È l’ultimo passaggio di un’operazione ugualmente culturale e politica volta a indirizzare il consenso della maggioranza dei votanti europei (in verità una residuale minoranza) verso i soggetti politici che dietro il razzismo e il fascismo nascondono la loro sostanziale essenza di ultima stampella del capitalismo-consumismo, fingendosi localisti e nazionalisti, contenitori politici dell’odio sociale indirizzato verso gli altri e non già verso il capitale, vero responsabile dell’ineguaglianza europea e planetaria, capitale che sa bene come la farsa finto-bipolare di destra e sinistra, conservator-popolari e socialdemocratici, sia giunta al capolinea, non a caso il dilagare in Europa di grandi coalizioni e di partiti della nazione sul modello renziano.
Impedire agli islamici di avere un proprio luogo di culto dove esprimere la propria fede, significa privarli di un diritto fondamentale ed inalienabile, di un diritto umano. Al tempo stesso, li si pone in una condizione di inferiorità sociale, di ineguaglianza.
Se li vogliamo al nostro fianco nelle lotte contro il capitale e la borghesia, non possiamo averli come subalterni, ma solo come uguali, secondo il principio universale dell’uguaglianza. Il gioco della borghesia è quello di dividere il corpo sociale in base a criteri di marketing e branding, in base a specificità costruite ad arte e, attraverso il laicismo che agisce da vettore omologante funzionale al capitalismo consumista, dominante in Occidente.
Molti comunisti pretendono di superare la questione religiosa per lottare direttamente con le masse islamiche, per la questione sociale. È una posizione astrattamente giusta, ma concretamente sbagliata, proprio per le ragioni di cui sopra: la mancanza di uguaglianza che permette quella partecipazione alla lotta.
Diritti civili e sociali compongono i diritti umani, tuttavia, senza l’ottenimento del diritto civile ad un luogo di culto, o perlomeno senza un doppio binario di lotta, non è possibile passare alla lotta per i diritti sociali (casa, scuola, lavoro, salute, tutela degli anziani, accesso alla cultura).
I comunisti, i socialisti, coloro che si battono per un avvenire solidale, di uguaglianza e giustizia sociale, devono anche lottare per l’universalizzazione dei diritti civili e sociali di tutte e tutti.
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