di Sergio Mauri
A pagina 174 della Dottrina platonica della verità Heidegger scrive “di volta in volta”. Cosa intende? Si riferisce alle diverse modalità in cui si manifesta l’alethès, ai passaggi attraverso i quali l’alethès si manifesta. Qui Heidegger non è interessato alla correttezza del giudizio, ma al modo in cui si svela a noi qualcosa, l’ente, in verità. Egli insiste sul fatto che originariamente si è data un’esperienza della verità che precede quella del giudizio. Nell’esperienza originaria è importante la modalità in cui l’ente si svela. Per noi oggi è importante la correttezza del giudizio del soggetto.
Riprendiamo da Eraclito: “la natura ama nascondersi”. Per Eraclito la natura, la physis, non è quella che intendiamo noi oggi. Anche Heidegger pensa che la natura sia la totalità dell’ente e, in questo senso, ciò che si manifesta ama nascondersi. Se indaghiamo il pensiero di Michel Foucault, scopriamo che egli ha percorso un’altra strada: la correttezza del giudizio, dice, nasce con Descartes. Ego cogito ergo ego sum, non è un sillogismo con una premessa maggiore e una minore. Foucault si interroga su altre modalità della verità. C’è intorno alla verità una specie di condizione diversa: la questione della verità non si gioca sulla conoscenza (competenza), ma sul piano dell’etica. La questione della parresia, il parlare franco e con coraggio. In Foucault, come in Heidegger, non è importante mettere in luce ciò che è avvenuto in passato, ma mettere in rilievo un’altra prospettiva della verità. Se nel Novecento c’è un problema con la verità lo dobbiamo anche a Nietzsche. La verità per Nietzsche è qualcosa che non ha niente a che fare con lo stato dei fatti; è un espediente necessario a una determinata specie vivente per vivere. La verità è un errore. Per Nietzsche tutto è divenire, non c’è uno “stato” dell’essere. Nulla può fermarsi quindi nulla può essere afferrato all’interno di un giudizio. Nulla è, tutto diviene. Heidegger non si allinea con questa concezione, ma da Nietzsche ricava l’impulso a interrogarsi sulla verità. Nietzsche ha indebolito la verità e la collegata salvezza del soggetto. Foucault (vedi le prime pagine dell’Ermeneutica del soggetto, Feltrinelli) dice: c’è intorno alla nozione di verità un investimento di tipo spirituale; bisogna esserne degni, non tutti possono meritarla. È necessario, fino a Cartesio, essere all’altezza della verità. Solo da Cartesio, a partire dalla nozione di soggetto e del sapere, la verità è alla portata di tutti, si stacca dalla dimensione spirituale dell’uomo. Ciò non vuol dire che da lì in poi non permanga anche uno sforzo nel senso precedente a Cartesio. Foucault dice che ciò è testimoniato da Nietzsche, Hegel (Fenomenologia dello spirito), Husserl, Heidegger. A Foucault non piace Cartesio e la piega che le cose cartesiane hanno preso. Il discorso dominante in Occidente è tuttavia quello cartesiano. La posizione anti-cartesiana, per così dire, indebolisce la centralità dell’uomo e la centralità cartesiana. L’uomo è invece “debitore” di ciò che gli si manifesta. Che cosa fa si che all’uomo sia manifesto uno svelamento? Qui c’è il rischio della spiegazione teologica.
Continuiamo con la Dottrina.
Qualcosa accade “di volta in volta”, in ciò che è “presente nell’ambito in cui soggiorna l’uomo”. È importante sottolineare l’assegnazione dell’uomo ai vari gradi dello svelato. Le affermazioni di Heidegger sono una interpretazione del pensiero di Platone. Non c’è alcuna garanzia che tutto ciò che Heidegger dice di Platone sia realmente così. Tuttavia, un guadagno c’è, abbiamo la possibilità di vedere la questione della verità da un’altra angolazione.
L’alethès nei suoi vari gradi deve essere pensato e nominato a ogni grado. Le tensioni sono fra paideia e apaideusia e tra aletheia e velato.
Nel primo grado (pag. 175) gli uomini vivono incatenati nella caverna e sono tutti presi da ciò che anzitutto viene loro incontro. Il secondo grado tratta della liberazione dalle catene: ora i prigionieri sono “liberi”, ma restano rinchiusi nella caverna. Pagina 175 “Il bagliore del fuoco, a cui il suo occhio non è abituato, acceca chi si è liberato. […] La consistenza con cui appaiono le ombre, essendo ciò che è visibile in modo non confuso, sembra anche, a chi è liberato, “ciò che è più svelato””. (Pag. 176)
Verità e libertà, tuttavia, si collegano. Qui la verità non riesce a fondarsi su una liberazione poiché quest’ultima è limitata. La semplice assenza di vincoli (le catene) non è sufficiente a parlare di vera (o completa) liberazione che avverrà fuori della caverna. Si tratta quindi di una libertà negativa (assenza di vincoli). La vera libertà si da dove c’è assenza di vincoli e dove l’assegnazione dell’uomo è nel “più svelato”, nel ritrovarsi all’interno del vincolo giusto, di fronte a ciò che è più svelato, alle idee, che sono fuori dalla caverna. Essa, la libertà, si raggiunge solo al terzo grado, fuori dalla caverna.
Fuori dalla caverna abbiamo l’apertura massima, alla luce del sole. Per Heidegger l’uomo fuori dalla caverna non ha una maggiore conoscenza, ma è più vincolato (e più libero) all’evidenza autentica delle cose che si mostrano nella loro perentorietà. La libertà, dunque, non è quella senza vincoli, ma si gioca nel vincolo limitante di ciò che è chiaro, uno spazio cui l’uomo è assegnato.