La vignetta è di KK.
Il potere esiste, non è un’illusione. Esso si manifesta in forme differenti da luogo a luogo e da tempo a tempo. Anche le strutture sociali e politiche si differenziano fra loro in maniera spesso profonda. Esistono quindi poteri tirannici, oppressivi, tolleranti e la vita delle persone nei diversi luoghi può essere sensibilmente diversa. Ciò che invece è una costante è il fatto che dappertutto l’assetto socio-politico è il risultato di forze e tendenze vaste e complesse di ordine materiale, spirituale, irrazionale e razionale che risultano poco controllabili. E’ nel continuo, non prevedibile, intricato accavallarsi di tutte queste tendenze e forze che dobbiamo tentare di trovare la spiegazione delle situazioni storiche in cui gli individui si ritrovano a dover o non dover agire. Riconoscere il limite del potere significa ammettere i limiti degli avversari, compito relativamente facile, ma anche quelli degli amici e alleati. Ed è proprio qui che dobbiamo comprendere come anche un’ideologia, una personalità, un partito, un Potente che amiamo siano, in definitiva, anch’essi pieni di limiti e contraddizioni, spesso insanabili. Per crescere, un individuo come un popolo, devono rinunciare alla semplicistica dicotomia tra Potente-buono e Potente-cattivo, atta a distogliere, semplificare ed allontanare dalle proprie responsabilità. Bisogna, inoltre, rinunciare alla bambinesca illusione che esista una “stanza dei bottoni” da cui la società sia manovrabile. Ciò non significa rinunciare alle utopie (politiche o sociali che siano) e dirigersi verso la rassegnazione. Significa solamente essere coscienti di come sono i rapporti sociali nella realtà di cui anche la relazione di potere é una delle molteplici declinazioni. Chi non accetta di rinunciare al mito si priva dell’atto liberatorio che ne consegue, finendo per inseguire, [psico]patologicamente, illusioni che lo porteranno inevitabilmente in un vicolo cieco. Dopotutto, coloro i quali coltivano e non riescono a rinunciare a quel rapporto fideistico con i Potenti non sono privi di angosce esistenziali. Nemmeno il Potente può essere in grado di lenirle anzi, di solito, l’effetto del Potente sulle masse é quello di una droga che, per un tempo limitato, riesce a scaricarle. La fine del fideismo porterebbe ad una maggiore coscienza della realtà, alla fine dei fanatismi, ed alla accettazione delle diversità così necessarie per una democrazia degna di questo nome. Con ciò non scomparirebbero i Potenti ma gli obiettivi posti ad essi sarebbero il risultato non di voli pindarici o pretese impossibili ma di questioni circoscritte alla portata di ogni essere umano. Chiedendo di meno si otterrebbe di più. Gli aspiranti autocrati avrebbero vita difficile e i Potenti non sarebbero giudicati con inutile esasperazione come troppo spesso succede. Ciò porterebbe alla nascita di un nuovo tipo di rapporto tra masse e politica che dipanerebbe la confusione troppo frequente tra visione religiosa e dimensione pubblica, col corollario di interessi che essa si porta. I rapporti, quindi, risulterebbero più chiari e le persone punterebbero maggiormente sulle proprie forze per raggiungere gli obiettivi che si sono prefissate. E proprio attraverso questo le persone capirebbero come sia possibile fare a meno delle mediazioni di mitiche ideologie o religioni e di mitici Potenti, per essere di aiuto a se stessi e agli altri.
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