Per una democrazia responsabile. (5) L’azione delle masse.

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Murale socialista cileno.

Viviamo in una società di massa, in cui una grossa fetta della popolazione vive (e sempre più vivrà) nei centri urbani e in cui esiste una partecipazione (per quanto discutibile nelle forme) alla cosa pubblica. Esistono partiti e sindacati, associazionismo, volontariato. In una tale situazione è difficile ipotizzare di poter fare a meno delle masse. Per rimanere in Italia, affermare, come alcuni fanno, che esse sono totalmente dominate dal presente potere rappresentato efficacemente dall’attuale Primo Ministro, o che esse sono marcate a vista dal potere mediatico, derivato da quello economico e via elencando, comprese le leggi ad personam, equivale a sostenere che chi oggi comanda lo fa senza collaborazione, consenso, appoggio attivo delle masse. In questo non-senso non è chiaro, appunto, come il potere sia stato ottenuto da chi lo detiene e si sminuisce o si tace il tipico rapporto che intercorre fra potere e masse, rapporto nel quale i ruoli di apprendista stregone e spiriti evocati, frequentemente si scambiano. Non è sostenibile affermare che le masse contemporanee si facciano docilmente dominare. In una società rivoluzionaria come quella capitalistica, dove i processi e gli strumenti di produzione, consumo, i costumi e la morale sono sottoposti ad un continuo aggiornamento, spesso al limite della violenza e riescono a pervadere tutto il globo della loro fattualità, non si può seriamente sostenere una assenza delle masse nella vita sociale o politica. Il mondo capitalistico è fondato su una costante instabilità, generata da un rapporto profondamente mutato fra uomo e natura che a cascata, influisce su tutti i canoni valoriali e valutativi delle collettività umane. La frattura generata fra il mondo contadino, essenzialmente precapitalistico, e il presente mondo industrializzato sempre in movimento, anche nel senso dei maggiori squilibri, non vede la mancanza di volontà delle masse. Qualora esse fossero scarsamente presenti nelle piazze ciò sarebbe solo l’annuncio della rinuncia a certi metodi mentre il fatto in sé parlerebbe chiaro sulla scelta di non esserci che ha validità tanto quanto quella di farsi notare e gridare forte i propri bisogni pubblicamente. Anche le masse possono essere conservatrici, inette e indifferenti, come e, forse, più del Potere, anche di quello più abulico. Ed essere valutate in base anche a queste caratteristiche. Tuttavia, la frattura generata dalla società industriale non implica una scomparsa immediata del passato e del suo “peso”. Una storia millenaria non può certamente essere distrutta in un batti baleno. Un esempio calzante è quello della Cina contemporanea oggetto da qualche lustro di una tumultuosa rivoluzione industriale, con le conseguenze sociali facilmente immaginabili, ma in cui sussistono e persistono inclinazioni culturali, valori di riferimento radicati nel passato. Se guardiamo alla storia recente, ricordiamo i fermenti delle masse che furono provocati dalla rivoluzione industriale in Inghilterra che non mancò, a sua volta, di essere influenzata dalle reazioni delle masse stesse. Oppure ricordiamo quei paesi che via via, dopo l’Inghilterra, furono coinvolti nella rivoluzione industriale: Francia, Germania, Russia, Italia, Giappone. Le ripercussioni sulla vita delle persone furono notevoli tanto da far decollare oltre all’industrializzazione anche i movimenti operai ed altri movimenti, talora violenti, di reazione (vedi Giappone) allo sviluppo che stava distruggendo tutto un mondo che aveva avuto secoli di tempo per costruirsi. Nell’insieme delle difficoltà che i nuovi regimi, come quello bolscevico in Russia, avevano ereditato da quelli tramontati si andarono a riscoprire questioni importanti che solitamente venivano relegate nell’angolo delle antichità, come il ”carattere dei popoli”, la psicologia delle masse, i fattori irrazionali collettivi.

Le masse non sono né una realtà monolitica né, tanto meno, omogenea. Esistono vari tipi di masse, distinte per sesso, religione, etnia, fede politica, status sociale, in frizione tra esse. Nella risoluzione di queste contraddizioni, a volte violente, il Potere è incline all’uso della forza, ma è evidente che senza l’appoggio di grandi masse questo uso sia destinato a fallire. Napoleone Bonaparte non riuscì a piegare la Spagna che aveva invaso con la forza dimostrando che non è possibile esercitare il comando, ovvero un normale esercizio dell’autorità, senza che questo sia attinente ai principi dell’opinione pubblica. Né il Comunismo né il Fascismo o il Nazismo riuscirono a modificare nel profondo i caratteri dei popoli che li avevano subiti, ritornando, una volta concluse quelle esperienze politiche, ad essere ciò che erano stati in precedenza. Al contrario, sembra essere proprio il neo-Capitalismo consumista, imposto senza l’antica violenza, a rappresentare, plasmare meglio l’animo umano e ad aver intaccato le caratteristiche antropologiche fin qui conosciute. Il filosofo francese Raymond Aron sosteneva che per combattere qualsiasi movimento storico bisognava farne propria la sua missione. Non è stato forse così per i bolscevichi in Russia e per il neo-capitalismo di impronta consumistica contemporaneo?

I Potenti devono comunque sottostare, in qualche modo, alla volontà delle masse, alle loro sedimentazioni culturali, alle loro aspirazioni profonde, ai loro costumi secolari. Essi non potranno mai evitare questo con leggi e decreti e nemmeno attraverso le rivoluzioni che hanno delle ricadute limitate, per quanto necessarie, sulle masse. E’ vero piuttosto il contrario: che sono le leggi ad adeguarsi ai sentimenti profondi di esse. Vilfredo Pareto, noto sociologo, chiamò “residui” l’insieme di istinti e sentimenti che permangono con forza nella storia dei popoli. Egli sosteneva che, contro di essi, i governi possono ben poco. Ciò che invece i Potenti possono fare è utilizzare questi “residui” a loro favore, assecondandoli. I casi in cui i governi hanno avuto dei successi nel conseguimento dei loro fini sono quelli in cui ciò fu reso possibile grazie ad un fraintendimento voluto sulle reali finalità da conseguire, attraverso discorsi e prese di posizione semplici, al limite della puerilità, che in effetti erano inefficaci sia sperimentalmente che logicamente. Le masse contemporanee hanno delle caratteristiche contro le quali è praticamente impossibile opporsi. Una di queste è la loro tendenza a volere una continua elevazione del tenore di vita. Esse, concretamente, premono affinché lo sviluppo continui, con le conseguenze che conosciamo: aumento delle problematiche ambientali, caduta degli indici demografici, sprechi, aumento dei consumi.

Spesso si imputa alla pubblicità la spinta al consumismo. Al tempo stesso alla pubblicità si imputa l’essere determinata dalle leggi capitalistiche della necessità del profitto. Ma sia le aziende che producono, sia quelle pubblicitarie, non si sentono padrone dei consumi. E’ certo vero che produttori, pubblicitari e consumatori sono tre mondi che tra loro interagiscono, ma i consumatori riescono a determinare i consumi al di là e ben oltre i voleri delle imprese che producono o dei pubblicitari. Il consumismo è stata la reazione ai secoli di fame e miseria dai quali prima l’Occidente, poi altre aree del mondo avevano sofferto duramente. Attraverso la rivoluzione industriale il potere d’acquisto dei salari è cresciuto tra il 1860 e il 1960 di ben 7 volte e mezzo in Svezia, più di 5 volte negli USA e circa 4 volte in Francia, Gran Bretagna e Germania. Anche se negli ultimi 30 anni i livelli salariali hanno subito delle consistenti erosioni, non possiamo affermare ancora di essere ritornati ai livelli di prima del 1860, ma nemmeno del 1860 stesso. Le masse lavoratrici, quindi, hanno potuto dedicarsi in misura sempre minore alla soddisfazione dei loro bisogni primari ed orientarsi decisamente verso beni e servizi che, un tempo, sarebbero stati considerati del tutto superflui. In questo processo, la pubblicità ha avuto una certa efficacia soprattutto nell’indirizzare i consumatori nella scelta delle marche ma non rispetto ai prodotti di largo consumo quali le automobili o gli elettrodomestici, dove la pubblicità non è stata assolutamente essenziale. Tanto é vero che verso questi prodotti si è indirizzato anche il desiderio delle masse dei Paesi del Blocco Socialista (ormai ex), facendo sostenere a politologi quali Milovan Gilas che l’URSS non fosse altro che una variante del capitalismo consumista occidentale.

Allo stesso modo della propaganda commerciale anche quella politica può conseguire dei successi ma è limitata. Una prima forma di questa limitazione riguarda il fatto che le masse sono soggette a forme di propaganda contrastanti. Ciò non é vero solo in paesi come gli USA dove il Potente non concentra su di sé i mezzi della comunicazione ma, in ultima analisi, anche in Italia dove ciò è quasi un dato di fatto. In secondo luogo, una limitazione decisiva riguarda il fatto che una propaganda è efficace solo quando si accorda alle aspirazioni profonde delle masse. La propaganda che raccoglie i successi migliori non è mai quella che dispone di mezzi maggiori ma quella che riesce ad adeguarsi meglio alle tendenze delle masse. Non è facile che i propagandisti riescano a creare il consenso. E’ altresì vero che i Potenti dicano e diano alle masse quello che esse vogliono sentire o avere. Mussolini riuscì, attraverso la soppressione delle voci dissenzienti e la concentrazione nelle sue mani dei mezzi d’informazione, ad avere dei risultati finché diede alle masse soddisfazioni reali o apparenti. Ma quando iniziarono le sconfitte militari e si subordinò ad Hitler la sua immagine e tutta la sua forza andarono irrimediabilmente indebolendosi. Il suo mito si infranse. L’8 settembre del ’43 tutta l’impalcatura dello Stato di dissolse in un batter d’occhio. Inoltre, nonostante Mussolini tentò durante gli anni ’30 di contrastare con la propaganda e con mezzi economico-giuridici la decrescita della natalità, comune a tutte le società industrializzate, essa continuò comunque a decrescere, come si può facilmente verificare dagli annuari statistici. Un altro tema importante cui Mussolini tentò di opporsi, le migrazioni dalla campagna ai centri urbani, vide un altro insuccesso nella sua politica poiché le migrazioni continuarono comunque e senza sosta in quanto fenomeno inerente la struttura evolutiva di base della civiltà capitalistica.

Abbiamo già assistito, in un passato remoto o più recente, alla rapida ascesa di un partito politico e/o di un personaggio potente nato dal nulla o rimasto al palo, in un angolo, per lungo tempo. Solitamente questa ascesa non è determinata dal cambiamento di opinione ed aspirazioni delle masse ma dal fatto che il partito e/o il personaggio politico eventualmente correlato ha cambiato il proprio volto per meglio corrispondere alle aspirazioni delle masse stesse. Unito a questo e ritornando all’esempio di Hitler e dei Nazionalsocialisti, dobbiamo ammettere che la loro ascesa fu permessa da variabili diverse fra le quali la loro spregiudicatezza nel subordinare a fattori esterni la propria ideologia e il loro sistema propagandistico. Per ammissione di Albert Speer, i nazisti si impegnarono nell’individuazione di tutti gli argomenti propagandistici di evidente successo, non importava da chi fossero stati usati, Comunisti, Liberali o altri, appropriandosene e ricomponendoli in un quadro logico senza comunque alcun riferimento ideologico. Secondo lo Speer, inoltre, i principi ideologici nazisti venivano fissati quasi sempre in base all’effetto che avrebbero prodotto sugli elettori, tralasciando qualsiasi principio e coerenza astratta. Da ciò, peraltro, discende che nel momento in cui un Potente sa di interpretare la volontà delle masse non teme assolutamente i propri avversari. E, se conosce i fondamenti della pubblicità, pensa anche che può trarre vantaggio dagli attacchi degli avversari, secondo il principio per il quale anche il parlare male di qualcuno o qualcosa, alla fine, é pubblicità gratuita.

Se è vero che il successo dei Potenti e dei movimenti politici é pesantemente condizionato dalle aspirazioni e ideologie delle masse, si potrebbe proporre una seducente supposizione: che i veri Potenti siano gli autori delle ideologie. Anche questa ipotesi è falsa. Quanto più le idee di un autore si diffondono nel mondo più esse saranno travisate. Ed egli, se non è già passato all’altro mondo, dovrà assistere impotente a manipolazioni e deformazioni del suo pensiero. Il Marxismo, una ideologia molto diffusa fino a qualche lustro fa, è un esempio calzante. Anch’esso non è stato un movimento monolitico: sono esistiti vari tipi di Marxismo, da quello Sovietico a quello Jugoslavo, da quello Cinese a quello occidentale, fino al neo-Marxismo del Terzo Mondo. Senza poi nominare il Trotzkismo, il Bordighismo e il Consiliarismo che potremmo definire come varianti eretiche del Marxismo. Dappertutto, quindi, il pensiero di Marx ha subito delle modificazioni, divenendo in alcuni paesi un dogma, ragione principe del suo tradimento. Ma sfortunatamente le idee di Marx sono state sottoposte ad una serie di volgarizzazioni, interpretazioni e di filtri che le hanno rese un assemblaggio piuttosto rozzo di principi a mezza via tra l’astrazione e l’empirismo semplicistico. Si è poi creata una schiera, abbastanza folta, di interpreti ed esperti della materia che hanno in massima parte contribuito a quella volgarizzazione dagli esiti semplicistici di cui si parlava sopra. I cosiddetti Marxisti hanno pensato, e magari pensano ancor oggi, che il pensiero di Marx ed Engels sia passato attraverso Lenin, Stalin, Mao e Castro e sia giunto fino ad oggi come un tutt’uno, come un qualcosa di organico e monolitico. Ma possiamo scommettere che se i padri fondatori potessero rinascere, rimarrebbero sconcertati dall’uso e dai risultati ottenuti in loro nome. E proprio nei paesi dove il loro pensiero ha avuto valore di ufficialità, si è creato il distacco maggiore e più profondo con il pensiero originario.

Già Antonio Gramsci ebbe a dire che la rivoluzione Russa fu contro gli assunti di Marx che vedeva la necessità della formazione di una struttura capitalistica, di una classe matura di capitalisti, di una formazione di classe proletaria altrettanto matura prima di passare all’azione della conquista del potere politico. In questo senso la rivoluzione Bolscevica é stata anti-Marxista. Senza contare poi che gli sviluppi dell’esercizio del potere in Russia ha visto proprio i comunisti, paradossalmente, impegnati nello sviluppo di quel capitalismo mancante nel paese, cioè impegnati nell’accumulazione capitalistica originaria.

I creatori di ideologie planetarie devono rassegnarsi a vedere modificate, interpretate, trasformate le loro creazioni proprio dai loro più fedeli e, forse, geniali, interpreti, con tutto ciò che ne consegue. Dopotutto ogni ideologia deve essere messa alla prova dalla realtà, dalla vita concreta e riesce a sopravvivere solo adattandosi e trasformandosi. In questo processo ineludibile, anche le masse vi partecipano, in modo più autonomo di ciò che solitamente si crede, in barba ai detrattori delle masse medesime. E tanto più é vasta e duratura l’applicazione di una ideologia, tanto più essa ne risulterà snaturata. Qualsiasi ideologo, teorico politico o filosofo può accompagnare o stimolare i processi storici ma non controllarli.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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