Prima di tutto l’uomo.

Prima di tutto l'uomo
Il documentario tratta fatti accaduti tra la Prima e la fase finale della Seconda guerra mondiale. Questi fatti hanno a che fare principalmente con la questione dell'intolleranza verso l'altro da sé, il diverso, verso chi è portatore di una cultura e di una umanità altre. Sotto questo aspetto vi è una continuità con la storia contemporanea, una sorta di filo nero che collega la nostra storia di occidentali, europei, italiani. Basta leggere la cronaca dell'ultimo ventennio. Quella proposta dal documentario è una indagine sulle prevaricazioni nei confronti di alterità etniche, politiche, sociali. E', perciò, storia di persecuzione di ebrei, slavi, lituani, oppositori politici, omosessuali, cioè nei confronti dei non omologati e non omologabili e - soprattutto - non dominanti nelle realtà in cui sono, a ragioni di stato, di potere, non conformi a ciò che va bene per tutti. Il tema è stato scelto per il suo valore universale, in quanto problema che tocca l'umanità in generale, non solo una parte di essa. L'intolleranza è in tutti noi e tutti noi ne possiamo esser vittime.

Il documentario Prima di tutto l’uomo di Elio Scarciglia rappresenta non solo un elemento nuovo nell’insieme dei documentari che trattano il tema della memoria storica, ma anche un esperimento audiovisivo sul quale possiamo effettuare uno studio interpretativo.

Il documentario tratta fatti accaduti tra la Prima e la fase finale della Seconda guerra mondiale. Questi fatti hanno a che fare principalmente con la questione dell’intolleranza verso l’altro da sé, il diverso, verso chi è portatore di una cultura e di una umanità altre. Sotto questo aspetto vi è una continuità con la storia contemporanea, una sorta di filo nero che collega la nostra storia di occidentali, europei, italiani. Basta leggere la cronaca dell’ultimo ventennio. Quella proposta dal documentario è una indagine sulle prevaricazioni nei confronti di alterità etniche, politiche, sociali. E’, perciò, storia di persecuzione di ebrei, slavi, lituani, oppositori politici, omosessuali, cioè nei confronti dei non omologati e non omologabili e – soprattutto – non dominanti nelle realtà in cui sono, a ragioni di stato, di potere, non conformi a ciò che va bene per tutti. Il tema è stato scelto per il suo valore universale, in quanto problema che tocca l’umanità in generale, non solo una parte di essa. L’intolleranza è in tutti noi e tutti noi ne possiamo esser vittime.

Vorrei introdurre il documentario cercando di spiegarne l’attualità dei contenuti, dando per scontata quella del mezzo usato: il documentario girato tutto in digitale. Da più parti, non necessariamente solo da quelle nominalmente avversarie della Resistenza e dell’antifascismo, si mette spesso in dubbio la necessità di riflettere sui temi dell’intolleranza, in parte perché si vorrebbero superati, in parte perché verrebbero da una parte non proprio eticamente pulita. Sull’ultima delle due contestazioni dirò solo che non abbiamo avuto, in questo paese, esperienza di campi di concentramento o di intolleranza per mano di entità politiche riconducibili agli antifascisti, per cui ci troviamo a parlare giocoforza della barbarie nazi-fascista.

Sul tema dell’attualità di un argomento e di questo in particolare, spenderò, invece, un po’ di tempo. L’attualità è legata alla contemporaneità. Contemporaneo è ciò che è del nostro tempo. Non è contemporaneo solo ciò che è, o appare, più avanti. Ovvero; non è che un documentario come questo o, poniamo, un libro, che parli di fatti successi oggi sia più avanti di un documentario o un libro su fatti accaduti 70 anni fa.

Sono semplicemente due ricostruzioni storiche. Ognuno ne ha una sua, pur nella contemporaneità. Ognuno usa i mezzi e si concentra sui fatti che preferisce. Sono comunque contemporanee ed attuali. Anche il cosiddetto appiattimento sull’attualità dovrebbe essere oggetto di un’attenta distinzione: c’è attualità affrontata con spirito critico ed indagatore ed attualità priva di questi attributi. Parlare di fatti accaduti settant’anni anni fa non significa, appunto, non essere contemporanei o attuali, significa operare una scelta sugli argomenti da trattare. Quindi, anche se il nostro orologio sembra essersi fermato in un’epoca piuttosto lontana, la spiegazione sta nel fatto che abbiamo preso quel blocco di tempo come un modulo a cui riferirci, come strumento e parametro per conoscere l’uomo.

Come già osservato da Jorge Luis Borges in Pierre Menard ovvero l’autore del Don Chisciotte, un signore che, negli anni Trenta del secolo scorso, senza copiarlo o conoscerlo a memoria, riscrive tre capitoli del Don Chisciotte che era stato scritto agli inizi del ‘600, che cosa rende originale dell’opera? Il fatto che, mutato il tempo, quell’opera appare surreale se immaginata nel nostro tempo. Il tema scelto, il nostro tema, può sembrare inattuale o attuale a seconda dei diversi contesti umani, ma viene trattato comunque oggi [l’audiovisivo è del 2011]. E questo non è privo di senso, poiché significa che ci sono valori che rischiano di essere perduti in quella che si chiama globalizzazione, in cui non solo Mac Donald’s e la Coca Cola, ma anche Hollywood e Mondadori, per non parlare di Endemol, sono in campo culturale ciò che le prime sono in quello alimentare: delle schiacciasassi che annichiliscono le “biodiversità” culturali.

La posta in gioco, quindi, è alta. Si sceglie di conservare queste tematiche (e non solo nel contenuto, ma anche nella forma, cosa altrettanto importante) rispetto al GF numero X o a “L’isola dei famosi”. Si ipotizza una slow-culture, cioè una cultura che non vuole travolgere il passato, ma preservarlo. Un esempio. Se si va in certi paesi, nella penisola arabica piuttosto che in Asia, negli Stati Uniti piuttosto che in Europa, si può assistere ad una distruzione architettonica del passato di cui non c’è più traccia. Oggi si usa un’architettura fatta per uomini inesistenti, per uomini che non sono adatti ad esse, per uomini che non hanno bisogno di quella dimensione del vivere. Allo stesso modo, l’ipotesi della slow-culture è quella di potersi misurare con un tempo lento, un tempo dell’approfondimento e della riflessione, opposti a quello dello slogan e della frettolosa superficialità. Non dobbiamo applaudire o votare, ma ragionare. C’è, quindi, una ripresa dell’interesse per tematiche forti, per l’approfondimento, in contrapposizione all’insostenibile chiacchiericcio del conformismo consumistico. Lo si vede, anche, dal numero crescente di iniziative culturali che stanno comunque imponendosi piano piano. Si tratta anche, possiamo così leggerla, di una sorta di resistenza contro l’arroganza di chi nega la storia per negare l’uomo che la fa. Ed ecco, perciò, l’importanza di un documentario dove non solo le immagini, ma anche le parole, il linguaggio, hanno il loro valore, frutto del protagonismo dell’uomo concreto, di un uomo che ragiona, vive delle emozioni, quindi non è destrutturato come quello del GF, tanto per intenderci, dove è difficile trovare un capo e una coda nella narrazione se non nell’animalesca semplicità a cui vengono ridotti i protagonisti, che trasaliscono per un’occhiata, una parola sconnessa, eccetera, solamente per indurre nello spettatore una reazione e la sua permanenza davanti al video. Quasi a voler destrutturare di proposito il cervello umano e renderlo incapace di trovare una propria via e un proprio obiettivo, facendolo invece deperire nell’entropia.

Di questo documentario possiamo dare diversi livelli di lettura che, inevitabilmente, interagiscono e si intersecano fra di loro.

La lettura politica, che indubbiamente poggia sull’inquadramento storico dei fatti narrati, per mezzo della quale ci mettiamo nelle condizioni di meglio comprendere e distinguere le opzioni in gioco, prima tra tutte l’antitesi fascismo-antifascismo, ma anche dittatura-democrazia, oriente e occidente, capitalismo-comunismo, borghesia e proletariato. Opzioni riassumibili, dall’angolazione nazi-fascista, nella lotta sia contro la barbarie bolscevica che contro le demo-plutocrazie occidentali da portare avanti anche attraverso forme di governo tanto robuste quanto indiscutibili.

Dal livello politico passiamo a quello sociale che fornisce la linfa di motivazioni, ma anche pretesti a quello precedente. Più volte si è parlato della soluzione finale e dei fatti che ne hanno formato il corollario, come dell’epilogo di una lunga guerra civile e di classe che ha segnato il continente europeo dalla Prima guerra mondiale fino ai fatti narrati.

Quindi, di converso, torniamo alla questione dell’opposizione borghesia-proletariato, due mondi, due realtà non meramente alternative, ma altre (alterne e subalterne che siano), in opposizione tra loro. Capitalismo (mondo delle priorità dei ricchi e quindi dei borghesi) contro comunismo (mondo delle priorità dei poveri e quindi dei proletari, degli emarginati), come rappresentazione di due possibili strade della storia dell’umanità.

Vi è poi un livello culturale, dove alla lotta fra le opposte entità di borghesia e proletariato coi loro mondi di codici, regole, comportamenti, immaginario ed aspirazioni, dobbiamo congiungere una sottile e profonda analisi di ciò che è il rapporto di potere, rapporto culturale per eccellenza, di fatto sadico. Quello di potere è un rapporto sempre sadico e può essere “accettabile” (nel senso che abbiamo il dovere di gestirlo disinnescandone le potenzialità distruttive) nella misura in cui è parte costituente della struttura fondamentale e profonda dell’uomo. Il punto principale su cui focalizzarsi, sotto questo aspetto, attiene il vilipendio dei corpi che il potere compie, ed in particolare un potere così coerentemente spietato come quello nazi-fascista. La soluzione finale e gli episodi che ne prepararono il terreno sono tragicamente chiari da questo punto di vista: ciò che ci è stato tramandato dai protagonisti (vittime o aguzzini) e dalle riprese effettuate dagli alleati (sia sovietici sia occidentali) che entrano in quei luoghi di sofferenza, testimoniano in modo terribile a favore di questa tesi. Gente impotente, cioè che nulla poteva, torturata, massacrata, ridotta a ombra di sé stessa, dopo essere passati attraverso l’inferno del rapporto sadico con altre persone che tutto potevano, anche decidere della loro vita e morte.

Vi è poi un livello umano, che prende voce attraverso la psicoanalisi o le manifestazioni artistiche, sismografi del nostro inconscio che è proprio quel livello fondamentale e profondo cui facevo cenno. Questo è il livello senza il quale non potremmo costruire alcun consesso sociale o politiche atte a farlo funzionare ed è un livello che definirei animale, sebbene di un’animalità sofisticata e culturalmente tradotta. E’ il livello in cui l’uomo diviene eroe o aguzzino, cede alla paura o attraverso un suo ascetico superamento dimostra ciò che è e ciò che vuole. Un esempio di umanità possibile senza il quale non saremmo qui a parlarne.

Tutti questi livelli, infine, si possono riassumere (ma non sintetizzare, perché la sintesi nella storia umana non esiste se non come mero esempio astratto filosofico, mentre esiste una stratificazione di eventi, fatti, storie che problematizzano, integrano, distinguono, arricchiscono l’essere umano) in un livello antropologico. Cos’è l’antropologia? L’antropologia è la scienza che studia l’uomo sotto diversi punti di vista; sociale, culturale, morfologico, psicologico, evolutivo, artistico-espressivo, filosofico-religioso ed in genere dei suoi comportamenti all’interno di una società. Cioè l’uomo in quanto rete di storie, relazioni, possibilità espresse ed inespresse, rituali, credenze e quindi culture. Rispetto ai tempi narrati e soffermandoci al solo Occidente, oggi, l’uomo appare diverso. Non migliore o peggiore, ma diverso. Prodotto di un’altra storia e di un altro vivere sociale.

Il documentario prova anche a tracciare un parallelo, un confronto, tra queste due umanità, tentando di cogliere continuità e discontinuità tra di esse.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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