Punto della situazione 2: alle radici del declino.

Declino industriale
Il declino industriale dell'Italia è un fenomeno complesso che ha radici storiche e contemporanee, caratterizzato da una serie di fattori economici, sociali e politici che hanno influito sulla capacità del paese di mantenere una posizione competitiva nel panorama globale.

C’è il rischio che le tredicesime non potranno più essere erogate ai dipendenti pubblici e private[1]. L’Italia non ha più i soldi per pagare fiscal compact e debito. Un paese che non produce e non commercia non può crescere, ammesso e non concesso che il sistema di sviluppo capitalistico fondato sul consumo e poggiato sulla finanza sia in grado di crescere indefinitamente e senza distruggerci. Nell’agenda degli ultimi governi, comunque, sono mancate le riforme, la promozione del rischio, degli investimenti, dell’espansione dell’industria. E’ invece presente quel “sostegno all’impresa” che si traduce in flessibilità e precarizzazione del lavoro.

Il nocciolo del declino italiano sta nella liquidazione della grande industria. I settori chiave (praticamente spariti) sono: l’informatica (Olivetti), la chimica (Montedison), l’aeronautica civile. Il risultato è stata la provincializzazione della nostra economia. Il tutto sostenuto da un approccio ideologico e totalmente sbagliato che vedeva nell’industria il passato e nel terziario il futuro. Ciò ha portato alla sostituzione dell’industria con la finanza mentre i paesi emergenti sviluppavano il monopolio delle produzioni industriali inizialmente di base, poi sempre più ad alto livello tecnologico e progettuale.

Il futuro infatti è industriale, se si solleva lo sguardo dal tinello dei nostri piccoli vizi provinciali. I dati parlano di quasi un miliardo e mezzo di operai da qui a dieci anni. Le scelte limitate ed autodistruttive  operate dalla nostra classe imprenditoriale hanno dissipato le qualità della stessa che nel medesimo tempo doveva essere anche classe dirigente, impoverendola. Di fatto il mondo economico si è rifiutato e si rifiuta di prendersi la responsabilità di essere classe dirigente, di guidare il paese. E l’accettazione di questa nuova divisione internazionale del lavoro porta l’Occidente (escluso il suo nocciolo produttivo che non è in Italia) alla sua estinzione, alla fine della sua ragion d’essere come dimensione politico-sociale moderna partita con la rivoluzione industriale due secoli e mezzo fa.

Questo fatto produrrà delle ripercussioni culturali epocali. Io sono un fermo sostenitore dell’industria svincolata dal profitto, legata strettamente alle necessità della popolazione, per la produzione quindi di beni necessari.

 

[1] Sappiamo che, rispetto alla durezza di questo punto, il governo italiano e l’Europa tutta ha deciso di aumentare il debito emettendo moneta e titoli di debito per non farci cadere con il culo a terra (Covid docet).

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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