Ho iniziato lo studio della musica dall’età di 7 anni. Teoria e solfeggio, lezioni di strumento, ovvero la parte pratica del suonarlo, applicando la teoria direttamente sfregando l’arco sulle corde. Poi pianoforte complementare, armonia e contrappunto, musica d’insieme, esercitazioni orchestrali, quartetto. Mi sono trovato davanti a difficoltà enormi, in parte perché ero solo un onesto e volenteroso studente e non un genio del violino, in parte perché senza “angeli custodi” che potessero, in qualche modo orientarmi, spingermi, accompagnarmi lungo la strada dell’apprendimento musicale prima e di una carriera nel settore, poi.
Nonostante ciò, ho suonato inizialmente in gruppi di musica classica e, in seguito, cambiando totalmente genere per essere coerente alla mia specifica sensibilità, jazz, rock e pop. Ho lasciato alcune composizioni registrate alla SIAE, ho lavorato nel mondo della musica e mi ci sono divertito ma, improvvisamente, dopo una serie di vicissitudini personali, ho deciso di lasciare l’ambiente. Perché?
E’ difficile rispondere esaustivamente a questa domanda, ma proverò a farlo lo stesso. Premetto che sono contento di aver preso questa decisione. Credo, comunque, si tratti di una convergenza di fattori che incidono su di una personalità, portandola a fare certe scelte piuttosto che altre. Nello specifico: il non sentirmi parte integrante dell’ambiente per origine e status sociale; il non trovare più, nelle persone che mi circondavano, alcuna soddisfazione e stimolo per proseguire sulla strada intrapresa; la diffidenza ed il disprezzo verso un corpo insegnante e di “professionisti” corrotto ed arrivista.
Ho passato 30 anni nel mondo della musica: ho fatto un percorso costellato di vittorie e sconfitte che, comunque, mi hanno portato ogni volta ad uno scalino più alto di capacità e consapevolezza. Ho, però, molto chiara la massima secondo cui “niente è per sempre”. Nemmeno i grandi artisti hanno il dono dell’immortalità o della creatività infinita: per tutti arriva la fine, prima o poi. Ed è sicuramente meglio togliersi di mezzo prima di diventare dei personaggi grotteschi o dei miseri impiegati statali pronti a timbrare il cartellino. Per ognuno di noi il vissuto è un caso a parte, una situazione specifica, singolare, irripetibile. Considerando, poi, che l’attività creativa ripiega sull’arte quando i grandi processi storici di cambiamento falliscono, dovremmo indagare più seriamente sulle scelte individuali che ne ineriscono il campo. Una società produce forme d’arte, a prescindere dal ruolo e dalla connotazione qualitativa di chi la produce, quando non riesce a rinnovare i propri istituti. Al contrario, quando riesce a rinnovarsi, tutto l’agone sociale diviene un topos di esercizio della creatività.
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