[Traduco un lavoro di Wallis pubblicato sulla “Monthly Review“, interno al dibattitto ecologista d’oltroceano.]
Risposte capitaliste e socialiste alla crisi ecologica.
di Victor Wallis
La crisi ecologica globale ci si è rivelata in modo conclamato approssimativamente nello stesso momento storico in cui il capitale globale – che dava il benvenuto al collasso del blocco sovietico e al decomporsi del processo rivoluzionario in Cina – stava rivendicando la definitiva vittoria sul socialismo. L’ironia di questa convergenza storica risiede nel fatto che potrebbe non esserci più una decisiva confutazione dei precetti capitalisti a causa dell’incompatibilità, a lungo termine, della sopravvivenza delle specie viventi.
Purtroppo, l’effetto schiaccia-sassi del trionfo politico capitalista nel breve periodo si è manifestato in campi imprevisti.
La pubblicità aziendale, concentrata sulle tecnologie, si è convenientemente connessa con certe applicazioni della tesi post-moderna sulla “produzione di natura” per acquisire credibilità – anche nel campo della sinistra – all’idea che mentre potremmo rigettare e sfidare il capitalismo in materia di democrazia e giustizia sociale, non c’è molto che possiamo offrire quando si deve decidere sulla produzione e sul consumo.
La crisi ecologica è una complessa combinazione di tendenze pericolose. L’ideologia capitalista vede – caratteristicamente – le componenti di questa crisi in modo frammentario, oscurandone perciò la sua natura sistemica. L’aumento di gas-serra e il conseguente spettro di un “punto di non ritorno” climatico è stato ampiamente, anche se con riluttanza, acquisito dalla classe dominante degli USA, sebbene per la gran parte senza alcun accoppiamento col senso di urgenza (lo testimonia quanta piccola, tantomeno seria, attenzione sia stata data a questa prospettiva nei discorsi principali in campagna elettorale.) Ma le altre dimensioni della crisi tendono ad essere viste anche come problemi locali o, più allarmisticamente, come opportunità per futuri profitti. Mi riferisco qui all’aumento delle tossine, all’esaurimento dei beni vitali (particolarmente acque e biodiversità) e alla sempre più intrusiva e noncurante manipolazione di processi naturali di base (come nell’ingegneria genetica, nell’induzione artificiale della pioggia, nel cambiamento dei corsi dei fiumi). Un’adeguata risposta alla crisi dovrà, in ultima analisi, coinvolgere tutte queste dimensioni. Data la portata e diffusasi l’accettazione del problema, e presunta la costanza degli esistenti schemi di potere che lo trasformerebbero in domanda, comunque, una tale risposta richiederà un processo risoluto e senza precedenti, un processo di educazione politica di massa. Noi siamo ancora alle prime fasi di una necessaria consapevolezza del problema. Questo significa che dobbiamo prima selezionare con convinzione gli argomenti che andrebbero a minimizzare le parti delle trasformazioni richieste per la sopravvivenza a lungo termine delle specie viventi. Una parte di questo compito – che risponde a coloro che negano un’intromissione umana nella crisi climatica – è materia di schietta contrapposizione di ragioni scientifiche nei confronti di asserzioni fatte principalmente dai rappresentanti del capitale delle grandi aziende. [1] Ma un’altra sfida all’ecologia socialista viene da coloro che a sinistra, per un malposto significato di che cosa sia politicamente “realistico”, avanzano la visione per cui la sola possibile “agenda verde” sia quella capitalista. Noi abbiamo bisogno di esaminare (nel contesto) alcune delle più recenti espressioni di questa visione prima di tornare ad indirizzarci alle più ampie sfide pratiche che il capitalismo di qualsiasi colore é incapace di affrontare.
(l’articolo continua qui)
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John W. Farley, “The Scientific Case for Modern Anthropogenic Global Warming”, Monthly Review 60, no. 3 (July-August 2008).
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