Critico lucido, scettico che non riusciva ad essere sedotto dalla rivoluzione. Insegnava a pensare, sottoponeva il potere ad analisi attenta. Meno creativo e più dotato di capacità di discernimento. Analizzava per mettere in luce errori logici inaspettati, complessità, sfumature. Secondo Aron, la maggior parte delle questioni non sono nere o bianche bensì grigie. L’intellettuale deve vivere e operare in un mondo di mezzi toni, apparenze illusorie, conseguenze non volute. Operare delle distinzioni era il mezzo che permetteva di vivere e scegliere. Aron fu accusato di essere freddamente distaccato dall’oggetto delle sue analisi; il suo orgoglio a ambizione furono quelle di potersi liberare dai pregiudizi e raggiungere una purezza d’analisi immune dai convincimenti personali. Negli anni ‘30, dopo un approfondito studio sulla politica e l’esperienza dell’inizio del nazismo in Germania, dove stava lavorando, scelse i valori del liberalismo e della democrazia. Il suo è un liberalismo che non si definisce tanto per la caratterizzazione ideologica, quanto per il tentativo di trovare un equilibrio tra persistenza e mutamento, l’Antico Regime e la rivoluzione. A lui la società tradizionale non piace e crede nel potere della ragione, dell’individuo, della modernità. Per lui chi si pone contro la corrente della storia è condannato alla sterilità e all’anacronismo, ma non accetta neanche il mutamento per il mutamento, cioè l’eccesso di ragione e modernità.
Fu la violenza della guerra che pose ad Aron il problema del dovere dell’intellettuale. Aron scelse, rifugiato a Londra, il compito di chiarire la realtà lasciando gli altri liberi di fare l’uso ritenuto migliore delle sue analisi. Sul problema al tempo attualissimo della scelta tra Resistenza e collaborazionismo, Aron tendeva ad interpretare la passività come risultato dell’incertezza sulla giusta scelta. Dopo la fine della guerra, via via che la Guerra Fredda bloccava ogni speranza di trasformazione dell’Europa, le posizioni di Aron si esposero ad interpretazioni più cattive. La sua prudenza poteva essere interpretata come realismo conservatore, e la sua decisione di aderire al movimento gollista non fecero che acuire queste interpretazioni. Allo stesso tempo la sua preoccupazione divenne quella di divulgare le sue opinioni in quei circoli governativi che detenevano il potere e determinavano le direttive politiche. Aron considerava il marxismo una fede secolare che offriva ai suoi adepti le gioie della teologia, le soddisfazioni della controversia scientifica e l’ebbrezza della meditazione sulla storia universale. L’obiettivo di Aron non è tanto quello di stimolare il lettore, quanto d’invitarlo alla prudenza; il suo consiglio si accompagna a una restrizione che ne attenua la forza. Lo mette in guardia dal fideismo, anticamera del fanatismo. Il suo scetticismo voleva estinguere il fanatismo. Aron credeva che l’intellettuale avesse il dovere pubblico di formulare giudizi, criticare, educare. Rifiutò del pari l’idea che dovesse essere un esteta chiuso nella sua torre d’avorio. La sua eredità è nell’aver affrontato quello che è il problema centrale degli intellettuali di tutto il mondo, vale a dire il fondamento del giudizio morale.
Fino a quando è possibile discutere, è bene ricordare e che il genere umano non può vivere senza tolleranza e che nessuno possiede la verità. Eppure, quando si verificano situazioni estreme, come guerre o rivoluzioni, la saggezza diventa impotente.
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