Lungo le pareti laterali della nicchia, perpendicolari al muro di fondo vi sono un lokapala e un dvarapala.
I lokapala proteggono i quattro settori dello spazio: guardiani del mondo e della fede, sono spesso raffigurati all’entrata dei templi buddhisti. I dvarapala, superuomini eroi e semidei, assumono funzioni simili. Identificare queste entità e determinarne la filiazione a partire dai prototipi indiani è un problema dei più complessi. Nel sito di Lung-men il lokapala di sinistra tiene nella mano destra uno stupa1 in miniatura e tiene la mano sinistra appoggiata sull’anca. È Vaisravana che calpesta la testa d’un nano che rappresenta un suddito del suo regno. Nel 653 Vaisravana divenne un nuovo Buddha e precisamente il dio della ricchezza. Numerose tombe T’ang2 hanno rivelato icone d’argilla verniciata a sua immagine. Vaisravana è equivalente del dio induista Kubera.
Gli imperatori cinesi nel VII° secolo incoraggiavano attivamente gli scambi religiosi e culturali. Manoscritti, immagini e reliquie non cessavano d’affluire, mentre la curiosità cinese si concentrava sulla cultura indiana, dalla filosofia brahmanica all’astronomia alla matematica.
Il viaggiatore più illustre del tempo è Hsuan-tsang. Nato nel ‘600 da una nobile famiglia, divenne prete a vent’anni. Lasciò la Cina nel 629 e raggiunse l’India che percorse da un capo all’altro, visitando pure il Nepal e Ceylon. Tornato in Cina nel 645 consacrò il resto della sua vita a tradurre i sutra che aveva raccolto, a formare discepoli e a costruire templi.
La relazione del suo viaggio, eseguita su esplicita richiesta imperiale, suscitò un profondo interesse verso l’India e i paesi dell’interno.
L’arte Gupta, fiorita durante la dinastia Gupta, appunto, tra il 320 e il 647, fu arte liberata da influenze occidentali, che tornava alle sorgenti del proprio genio. È il periodo della maggiore perfezione raggiunta dall’arte indiana per magistrale compiutezza, gusto della sofisticazione, completa sicurezza espressiva.
È nel VII° e VIII° secolo che le influenze indiane si esercitarono con maggior vigore in Cina. È comprensibile la voluttà con cui i cinesi del periodo accolsero lo spettacolo delle statue Gupta. I drappeggi diafani che rivelano le fattezze morbide degli esseri viventi erano un qualcosa che decisamente contrastava con i busti piatti delle statiche effigi di Yun-kang o con le pesantezze dell’arte Wei.
In questi prodotti d’arte dell’influenza Gupta, si manifesta appieno la propensione cinese per il compromesso, capace di produrre una figura a eguale distanza dai due estremi fra i quali oscilla l’iconografia indiana – ascetismo e sensualità – che concilia i desideri umani piuttosto che trascenderli. L’artista cinese, nella produzione delle sue opere è guidato dal suo doppio amore per il movimento e per l’economia delle linee. Tuttavia, i cinesi abbandonarono presto lo stile troppo esplicito che simboleggiava l’energia latente della fede e lasciarono che i giapponesi lo sviluppassero.
1Monumento buddhista originario dell’India, la cui principale funzione è quella di conservare reliquie. È il simbolo della mente illuminata e del percorso per il suo raggiungimento. Esso rappresenta, simbolicamente, il corpo di Buddha, la sua parola e la sua mente che mostrano la strada dell’illuminazione.
2La Cina dei T’ang fu per l’Estremo Oriente cil che la Grecia e Roma furono per l’Occidente.
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