La prova più evidente del degrado della cultura politica, visibile in tutto lo spettro delle sue manifestazioni, è la reiterata, parossistica esigenza di candidare persone “competenti”, secondo i criteri dominanti, con un buon curriculum, diplomi, lauree, esperienze lavorative di un certo tipo. Come premessa di confronto e regola del gioco. Una concezione del mondo di tipo verticistico, fondato sull’accettazione e promozione della (distopica) piramide sociale contemporanea. Come se un operaio, un disoccupato, una colf, una casalinga, un barbone o uno spacciatore non fossero in grado di pensare e capire le cose e fossero in un perenne stato di minorità di kantiana memoria.
La questione gira sempre attorno al solito inalterato problema sociale: o questi (“quelli lì”) non contano nulla e quindi non li teniamo nemmeno in considerazione oppure li rappresentiamo paternalisticamente, parlando al loro posto. Non potremo mai risolvere le questioni sociali se non inseriamo l’ “altra Italia” in istituzioni proprie, non nelle istituzioni create da altri per altri. Ciò che rimane inalterato è il frame di riferimento che ormai ha colonizzato tutti: chi sta in alto, chi ce l’ha fatta secondo gli schemi, deve avere il diritto di parlare, gli altri possono fottersi.