Passando in periferia ho letto il seguente graffito:
L’arte? Farmaco per imbecilli.
L’autore del graffito odia l’arte? O forse l’ama a tal punto da vederne una degradazione in ogni sua manifestazione? Intende, forse, rimanere solo ad ammirarla dopo aver minacciato di imbecillità tutti coloro che se ne interessano, sperando di allontanarli dal suo ipotetico, personale, tesoro? O, forse, critica l’arte come oggi è: separata dal suo passato e dalla creatività? Se parla di farmaco, infatti, la sua critica è legata alla modernità (anzi alla contemporaneità) ed è modernamente concepita: solo la nostra società conosce “il farmaco”! O forse ce l’ha con un certo tipo di istituzionalizzazione dell’arte, punto d’arrivo di un ciclo che inizia con la sua commercializzazione?
Visto che quella che noi oggi chiamiamo arte è difficilmente riconoscibile come tale, la critica di colui che scrive sui muri è fuori mira, è del tutto fuorviante. Può essere altresì un messaggio cifrato. Non criptato, cifrato. Nel senso che il graffittaro probabilmente e semplicemente si scaglia verbalmente contro la società costituita, di cui anche l’arte, quest’arte, è parte integrante, rappresentazione attiva. L’attacco può essere visto come diretto contro ciò che esprime questa società. Che cosa esprime? “Carta da parati”. Crea degli oggetti funzionali a legittimare, confermare gli stili di vita delle persone che li possiedono.
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