Le serie TV americane mi divertono. Specie quelle poliziesche, dove il fattore criminogeno sembra il collante di ogni relazione sociale, almeno al di là dell’Atlantico. E forse lo è, questo ci viene propinato.
Tuttavia, il “mondo televisivo” è un luogo autosufficiente che “se non esistesse bisognerebbe inventarlo”. Un luogo in cui segni, simboli e “riproduzione visiva della vita per com’è” valgono non per sé stessi, ma per come vengono scelti ed incanalati in un flusso di immagini che, inevitabilmente, diventano un messaggio. Da imparare mandandolo a memoria.
Tempo fa ho pensato che quella sovrabbondanza di presenza criminogena nella società americana non fosse altro che uno spettacolo fantasmatico che usciva direttamente dal doppio della società d’oltreoceano. Magari è pure questo.
Poi, invece, ho capito che le serie TV statunitensi altro non sono che il riflesso della guerra che gli americani vivono quotidianamente col resto del mondo. Un rapporto assai violento e controverso, non c’è che dire, ma che informa in profondità la società americana.
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