Il nostro sistema è arrivato alla fine di un percorso storico. Il nostro sistema capitalista, è vissuto incardinandosi su alcuni perni fondamentali quali la colonizzazione e le guerre. La colonizzazione ci permetteva di sfruttare delle risorse che non ci appartenevano, sia in maniera gratuita (furto delle risorse) che a prezzi ridicoli (sfruttamento delle stesse). Le guerre, invece, ci hanno permesso di uscire dalle pesanti contraddizioni sistemiche in cui il capitalismo ci avvolge.
Di questi tempi entrambe le opzioni sono finite, soprattutto la seconda, dando quindi la possibilità a paesi che prima non potevano farlo, di entrare in competizione diretta con noi sul mercato delle merci.
Siamo, quindi, alla fine di un percorso storico che aveva visto il privilegio fittizio dell’Occidente nei confronti del resto del mondo. L’inizio di questa fine è cominciata tra il 1971 (fine degli accordi di Bretton Woods) e il 1973, con la crisi energetica.
L’Occidente ha gestito questa crisi dapprima con le ondate privatizzatrici di marca reaganiana e tatcheriana, in cui i beni dello Stato venivano alienati dalle banche che si trasformavano allora in imprese tout-court.
Questo apre la strada, insieme alla caduta del Muro di Berlino, a quella che noi conosciamo come globalizzazione. Assistiamo, quindi, alla creazione di un capitalismo finanziario sulla base della deregolamentazione dei mercati.
I movimenti di capitali sono liberi, si può investire a livello mondiale, e la delocalizzazione diventa la base portante del processo. A questo punto riusciamo ad industrializzare i paesi periferici e a finanziarizzare le nostre economie. L’Oriente diventa la fabbrica del mondo mentre l’Occidente diventa la banca del mondo.
A livello globale in Cina si produce e si risparmia e in Occidente si consuma e ci si indebita. Il legame fra debitore e creditore diventa perciò fondamentale nel processo.
In Occidente si diventa sempre più poveri perché non si produce o si produce sempre di meno ed il debito riesce a nascondere l’impoverimento, almeno fino all’esplodere della crisi globale nel 2008.
I tassi di interesse al ribasso rendono appetibili i debiti che vengono trasformati in beni e venduti sul mercato finanziario alla popolazione. Il debito non è solo quello pubblico, ma anche quello privato (carte di credito, prestiti, mutui). A livello di mercato dei beni prodotti, la popolazione compra sempre più prodotti cinesi e asiatici, perciò è li che i soldi tornano.
In questa crisi del debito (caduta dei profitti -> sovraproduzione -> sottoutilizzazione degli impianti -> licenziamenti -> miseria -> altri debiti) ricorderemo come prima saltarono dei paesi periferici come le Tigri asiatiche, l’Argentina ed altri latinoamericani. Poi, via via la crisi del debito si avvicina all’Occidente (salta la Lehman Brothers ed altri), fino alla crisi dell’euro.
Riguardo all’euro, una serie di questioni rimangono sul tappeto, sia prima che dopo la sua adozione. Parliamo della convergenza fra le economie che non c’era e continuerà a non esserci, tale da rendere attuabile l’adozione di una moneta comune. La convergenza è politicamente ignorata e rimandata al dopo adozione dell’euro.
Mancando, quindi, una convergenza a scala continentale, le economie forti si sono specializzate nella produzione di beni e servizi ad alto valore aggiunto, divenendo così creditrici nette delle economie deboli, che saranno gradualmente sempre più povere e diverranno con il credito dei più forti, delle economie consumatrici.
Si riproduce in Europa ciò che era già successo a livello globale: alle regole del capitalismo non si sfugge!
I paesi forti dell’Europa producono, risparmiano e con questo risparmio diventano creditori netti dei paesi deboli periferici che consumano attraverso l’indebitamento. La cosa non può durare all’infinito e allora abbiamo il caso Grecia, ed in parte il caso Cipro. Di conseguenza, le economie più forti vogliono recidere i loro legami debitori con quelle più deboli, facendo ricomprare il debito ai paesi deboli (vedi Monti).
Se salta l’Italia o la Spagna, quindi, non salta il sistema finanziario dei paesi del nord Europa. Da notare, inoltre, che più del 50% della capacità del sistema bancario mondiale risiede proprio in Europa, nel centro forte del continente.
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