Non basta andare in Chiesa per essere cristiani. Così come non basta dirsi socialisti per esserlo.
Anonimo.
Non intendo qui affrontare il tema delle forme politiche partitiche che detengono il potere in certi paesi del Sudamerica piuttosto che dell’Asia. Cerco solo di ripristinare il metodo fondamentale per comprendere di che cosa si sta parlando quando si parla di modi di produzione: quello dell’economia politica. Eh si, perché quando si parla di capitalismo o di socialismo si parla di rapporti di produzione di una determinata società.
Il tema non ha nulla a che fare con la simpatia che si prova per il Venezuela, la Cina, o per la Corea del Nord. Tantomeno per l’Italia o gli Stati Uniti. Non è questione di sentimenti, è una questione oggettiva. La questione ingloba diversi ordini di fattori che potremmo comunque raggruppare in due insiemi: quello della struttura economica di una data società e quello della sua sovrastruttura. Parliamo, perciò, di condizioni materiali e cultural-ideologiche di un dato paese.
Ciò che contraddistingue, sul piano dei rapporti sociali, un paese capitalista da uno socialista è lo sfruttamento. Esso si cristallizza nel non pagamento, per intero, del lavoro eseguito dal lavoratore. Il lavoratore, infatti, viene pagato per il suo valore di mercato in quanto forza-lavoro e non per il lavoro che ha eseguito. Quindi si ha sfruttamento quando il lavoratore vende all’imprenditore privato o allo Stato la sua forza-lavoro in cambio di un salario, mentre l’imprenditore, la grande impresa o lo Stato rivendono ad un utilizzatore finale (pubblico o privato) il prodotto (bene o servizio) del lavoratore.
Nell’ex-blocco socialista il tema dello sfruttamento era sentito, come potete vedere dalla foto del libro che ho postato, e generava anche parecchi equivoci (del tipo: come far coesistere il profitto col socialismo?) mentre oggi, sullo stesso tema, una coltre di silenzio viene calata sull’argomento. Ciò è possibile più per ignoranza che per calcolo politico. La distruzione dei riferimenti culturali ha giocato un ruolo determinante. Sul Socialismo del Siglo XXI o sulla Cina, infatti, non si va a vedere veramente come sono i rapporti fra lavoratori e datori, pubblici o privati, impedendosi così un reale intervento per eliminare lo sfruttamento laddove esso esista. Evitando un reale cambio politico.
L’equivoco che va per la maggiore concerne la re-distribuzione del reddito operata dallo Stato socialista per finanziare i servizi. Sarebbe sufficiente la presenza di questo meccanismo economico, per definire un paese come socialista. Ma questo non è socialismo, è keynesismo ed è proprio la ragione del progressivo impoverimento che occorse nell’ex-blocco socialista sovietico nel quale non vi era innovazione proprio perché si doveva tenere in piedi il baraccone militar-burocratico-servizi-garantiti-dallo-Stato. Ma, ovviamente, il punto non ha nemmeno a che fare col taglio liberista. Il punto sta nell’eliminazione della legge del valore. Inoltre, anche in Italia c’è redistribuzione del reddito (mal fatta finché volete) operata attraverso i finanziamenti dello Stato, perciò anche forme di salario indiretto, ma non per questo possiamo definire l’Italia un paese socialista.
Sul piano della sovrastruttura, bisogna essere franchi e dire che essa non collima mai, se non parzialmente, con la struttura economica di una società. Interessi particolari, ideologie disparate coesistono a prescindere dalla struttura economica e sociale di un paese, essendone certamente influenzate, ma non rappresentandone la copia precisa ed indistinguibile. Varie articolazioni ideali di socialismo al potere possono coesistere cercando di controllare una data società, con forme capitalistiche più o meno spinte.
Tutto ciò è naturale, poiché il socialismo è un’azione ponderata di trasformazione e superamento non solo del capitalismo, ma anche di tutta quell’eredità millenaria consistente nelle società classiste che hanno preceduto il capitalismo. E’ un’azione che può durare secoli ed avere alti e bassi, delle fermate improvvise e degli avanzamenti repentini. Per queste ragioni è utile ribadire i fondamentali del modo di produzione socialista comparandoli con quelli del capitalismo, tenendo però presente che non è costruttivo sentirsi minacciati da qualsiasi forma economica socialisteggiante si, ma non aderente ai libri sacri, perché il cammino per realizzare una società più giusta è lungo e tortuoso, non rettilineo.
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