di Sergio Mauri
Difendere, schierarsi, votare a favore della identità di genere sarebbe un modo (o forse, oggi, il modo per eccellenza) di cambiare, in un’accezione positiva, far progredire il mondo. La questione del cambiamento, cioè della trasformazione (formale o sostanziale non conta qui) delle cose, potrebbe essere collegato (e molti lo fanno) alle proposte socio-politiche che attaccano non tanto l’ordine costituito, quanto l’immaginario su cui esso si basa. Dobbiamo ammettere, secondo alcuni, le questioni dell’identità di genere, poiché esse sarebbero un veicolo di cambiamento, proprio nel momento in cui mettono in dubbio i paradigmi dominanti. Se diciamo: non vogliamo o non è legittimo accettare le questioni che sorgono con l’identità di genere, anche a prescindere da una legislazione susseguente a venire, magari giustificando la nostra posizione con un “è sempre stato così”, ciò significa ostacolare il cambiamento e, traslando, il progresso sociale, il miglioramento delle condizioni sociali di vita.
Sorgono alcune questioni:
- È necessario definire il cambiamento;
- È necessario capire se il cambiamento, di per sé sia progresso: di primo acchito non sembra, ma anche quando lo sia, rispetto a che cosa, a un fine?
- Una volta definito il cambiamento, dobbiamo vedere in quali casi esso si associ a ciò che accade nella nostra società a prescindere dal suo essere o meno progressivo;
- In relazione ai punti precedenti e, in particolare, ai punti ii) e iii), necessità di individuare, qualora non si trattasse di un cambiamento progressivo, se si tratti di continuità, di opportunità per l’ambito socio-economico vigente, tenendo presente che pensare il cambiamento non significa attuarlo veramente;
- Capire se queste prese di coscienza possono essere collegate allo sviluppo della sostanza che si fa individuo (Cartesio) e
- Che cosa sia l’identità, a questo punto discutibile e sostituibile con la “continuità psicologica” di Parfit;
- Identità di genere e postmodernità: contrapposizione tra chi pensa che esista il principio di realtà e chi no, riagganciandoci qui al motto nicciano “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”. Quindi, non esisterebbero sessi, ma solo le percezioni che si hanno;
- Riguardo al punto vii) abbiamo un parallelo tra Berkeley e la fluidità del genere, tra la transustanziazione e la fluidità di genere, quindi dialettica tra sostanza e accidenti (o attributi): l’essenza di qualcosa è indipendente da tutti gli accidenti?
- Collegamento dell’identità di genere con quello, medievale, degli universali;
- La concezione sociologica postmoderna statunitense dice che, nello specifico, si tratta solo di costruzioni sociali, ma generi e razze non esistono;
- Anche la psicologia nega l’esistenza dei generi: conta ciò che si sente di essere; si tratta di posizioni non confutabili (non falsificabili), per cui se uno si vuole barricare dietro tali posizioni (solipsistiche?) è libero di farlo;
- Sottostante all’argomentazione sociologica ci sarebbe che, dicendo che non ci sono razze e generi si sconfiggerebbero razzismo e sessismo;
- Tuttavia, in paleontologia, chimica e genetica, si possono distinguere uomini e donne e, in genetica, possiamo distinguere la composizione, in percentuale, della provenienza etnica dei nostri geni.