Spunti sulla vicenda Saddam.

Saddam Hussein
Nato il 28 aprile 1937 nel villaggio di Al-Awja, vicino a Tikrit, Saddam proveniva da una famiglia di pastori. La sua infanzia fu segnata da difficoltà, tra cui la perdita del padre prima della sua nascita e un'infanzia difficile con un patrigno violento. Trasferitosi a Baghdad, iniziò a studiare giurisprudenza, ma abbandonò gli studi per unirsi al Partito Ba'ath, un movimento politico che promuoveva il nazionalismo arabo e il socialismo.

[Ultimo aggiornamento 07/08/2024]

Cinque anni fa di questi giorni veniva giustiziato Saddam Hussein, il nemico pubblico numero Uno a pari merito con Osama Bin Laden. Non voglio ritornare sul fatto, acclarato, del bagaglio di menzogne con cui gli USA prima, gli alleati occidentali poi, sono sbarcati in quel paese. Non voglio nemmeno ritornare sul Nigergate che ha visto il coinvolgimento degli italiani nella fabbricazione di prove false sull’uranio da usare per la costruzione di armi di distruzione di massa che sarebbe stato venduto dai nigeriani a Saddam. Mi basta ricordare che una sempre più consistente parte dell’opinione pubblica preme per un processo contro l’establishment che ruotava attorno all’asse Bush-Blair al cospetto di un Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra che riunisca in un unico dossier anche ciò che si è svolto in Afghanistan. Saddam Hussein è stato un criminale e questo va ricordato e ribadito con forza. Ma una correzione di giudizio deve essere posta nei confronti di coloro che prima gli hanno lisciato il pelo per poi farlo fuori non appena costui chiedeva compensi per la sua azione pro-Occidente (vedi la guerra contro l’Iran). Questi personaggi sono oggi stati sostituiti da altri uomini di paglia che risiedono nelle cancellerie occidentali (con poche esclusioni) ed indisturbati continuano a mietere vittime lì con le armi e qui attraverso l’accondiscendente politica dei sacrifici posta in essere da una classe dirigente in mano a 10 oligopoli bancari.

[7 febbraio 2007]

Sono contro la pena di morte. E non per motivi religiosi. Il mio rispetto per la vita umana è pre-religioso. Mi rendo conto, però, che, se fossi un capo di Stato che deve render conto dei suoi comportamenti ai propri cittadini o una persona colpita direttamente dalla morte violenta di un vicino, di un amico o di un familiare, forse reagirei in maniera diversa. Lascio, quindi, aperta una porticina (ma piccola piccola) al dubbio.

Detto questo, l’alternativa per Saddam, penso sia l’ergastolo (correggetemi se qualcuno ha proposto diversamente) che rappresenta comunque una morte dilazionata, oltre che civile. Siamo contro la pena di morte (uccisione immediata), ma a favore della morte graduale del prigioniero Saddam?
So benissimo che il processo a Saddam è pilotato dagli USA e, in minor parte, dai loro alleati. So che dietro alla spettacolarizzazione si vogliono cogliere, da parte USA, “alcuni piccioni con una fava”. La condanna di Saddam è un monito, ma anche una rassicurazione di giustizia, per l’Occidente ed una parte del mondo arabo che inevitabilmente è attratto da noi e crede nell’occidentalizzazione del mondo. Che peraltro, nessuno può fermare. È, inoltre, la continuazione di una gestione politica che, nel dopoguerra europeo, ha dato il via alla Guerra Fredda, del “noi da una parte e loro da un’altra”. Buoni e cattivi. Con pochi sforzi l’Occidente vuole dimostrare la sua diversità e superiorità culturale e politica; il chiavistello si chiama Democrazia. Il processo, figlio della separazione (nell’unità) dei poteri giudiziario, legislativo, esecutivo di marca occidentale, serve anche a questo. Ciò che accade in Iraq porta il sigillo della nostra cultura ed azione politica, Saddam ne diventa uno strumento. Evidentemente funziona, perché è ancora attuale, reso tale dalla presa che ha sull’opinione pubblica. Sono perplesso dell’attualità di questo sistema ideologico che va di pari passo con l’agitazione, ad esempio in Italia, paese arretrato culturalmente, del “pericolo comunista” (inattualissimo) che tanta fortuna ha portato a Berlusconi. Ma allora, cosa potremmo proporre di differente alla pena di morte? Una pena di morte meno cruenta (no all’impiccagione)? O ancora l’ergastolo? Sono queste le alternative? È sufficiente che ci dichiariamo contro la pena di morte? Cosa diciamo ai curdi, ai democratici, ai comunisti, agli sciiti, ai cristiano-caldei che in Iraq ci hanno rimesso la pelle? Che devono rinunciare alla voglia di pareggiare i conti, intanto, con Saddam e poi si vedrà? Che devono assorbire la nostra (di matrice cristiana e cattolica sicuramente) rinuncia alla pena capitale? In nome di che?

 

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 e con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 e Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023.

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