Dobbiamo partire da un assunto fondamentale: non c’è collegamento necessario tra la crisi dell’attuale “modo di fare le cose” e svolta a sinistra. È ovvio, visto che sinora abbiamo sperimentato una certa svolta a destra. Al contrario, tutto dipende da come questi materiali grezzi vengono usati, organizzati, da quali istituzioni e per quali propositi.
C’è un elemento che riguarda la quotidiana esperienza del welfare state che può spiegare molto bene la disillusione delle persone nei confronti di questa articolazione dello Stato moderno. Lo stato sociale, nei fatti, non è un’istituzione universale e non lo è stata se non in determinati e limitati periodi di tempo. Lo stato sociale viene vissuto non come un diritto, ma come un qualcosa per cui si deve combattere. Uno dei fattori contro cui combattere si chiama burocrazia.
È difficile superare le forche caudine che permetteranno di avere un aiuto al reddito sotto forma di pagamento delle utenze o di abbattimento del canone d’affitto, fino all’accesso alla casa popolare. L’ISEE, ad esempio, non ha facilitato le cose, mentre spesso ci viene detto che è stato introdotto per evitare abusi, ci si dimentica di dire che le provvigioni pubbliche a pioggia sono state date in cambio di consenso sociale.
Abbiamo, dunque, a che fare con una lotta competitiva per l’accaparramento delle risorse, tutta interna al mercato. In accordo con questo contesto, le provvigioni, in generale, sono state caratterizzate lungo una linea di discriminazione sociale (miglior adattamento al mercato e non maggiore stato di necessità) nonché razziale (di sicuro i locali hanno diritti maggiori degli “allogeni” e ce lo ricordano i salviniani piuttosto che i berlusconiani o i fascisti), il tutto accentuato dalla tendenza alla soppressione dei finanziamenti da parte dello Stato centrale.
Ricorda qualcosa la propaganda sui “nostri soldi” che non devono uscire dal “nostro territorio”?
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