di Sergio Mauri
Nella nostra cultura il tema dell’immortalità è stato affrontato molto, soprattutto riguardo l’immortalità dell’anima. Anche di quella del corpo si è parlato, magari un po’ meno poiché la concezione della materia come degradazione e degradabilità, nonché mutabilità, ha permesso meno speculazioni in tal senso. almeno dall’avvento dell’approccio scientifico ai fatti del mondo.
È proprio su questo tema che vorrei scrivere qualche frase. Da un lato, il solo pensare alla possibilità di una vita corporea infinita (con l’invecchiamento bloccato o meno) ci porta a concepire una situazione da incubo: pensate al solo dover affrontare il mondo fisico per l’eternità, con tutti i problemi che potete immaginare.
Tuttavia, rispetto a questa prospettiva, le cose cambiano se si pensa a un sostanzioso prolungamento della vita corporea, diciamo tra i cento e i centocinquant’anni di età. Quindi, mortalità sì, ma con dei limiti spostati più in là nel tempo.
In questa prospettiva allora le cose cambierebbero e sarebbero del tutto accettabili, anche se è tutto da dimostrare che questo porterebbe degli effetti positivi sull’etica umana e soprattutto relativamente ai progetti di vita degli esseri umani stessi.
Quindi, in conclusione, la questione dirimente è quantitativa e mette in questione la quantità stessa. Ovviamente, anche in questo specifico caso si attiva il lato qualitativo e allora potremmo affermare che l’ampliamento del tempo di vita si ripercuote qualitativamente come un parallelo ampliamento delle opportunità insite in un tempo maggiore della presenza corporea nella realtà.