di Sergio Mauri
Heidegger critica la filosofia analitica e cerca di dirci che aletheia (lo svelamento) non è necessariamente qualcosa che precede in senso cronologico, ma come un qualcosa che rende possibile un giudizio, una adeguazione del giudizio alla cosa. Heidegger vuole interrogare, indagare una dimensione mai tematizzata nella storia del pensiero occidentale. Heidegger si interroga sul modo attraverso cui l’uomo ha accesso all’ente. L’uomo prima di essere soggetto di conoscenza deve essere interrogato sul modo in cui è assegnato all’ente.
La “differenza ontologica” di Heidegger distingue l’essere dall’ente, ma purtuttavia non esistendo condizione in cui non ci sia essere unito all’ente.
In Heidegger ci sono alcune posizioni riconducibili al pragmatismo. Il dasein è nel suo primo approccio, pragmatico. Heidegger dice che il pensiero occidentale è arrivato al massimo soggettivismo (con Nietzsche). Secondo Heidegger il pensiero occidentale rischia di pensare che l’ente è al centro del mondo della realtà e il soggetto è quell’ente che domina su tutti gli altri.
Per Heidegger l’uomo non è in grado di esercitare il dominio che dice di esercitare, poiché chi lo esercita è la tecnica. Primo riferimento di Heidegger alla tecnica è nelle conferenze di Friburgo e Brema.
La questione sarà anche sviluppata da Gunther Anders. In Italia da Severino.
Nel 1954, Heidegger pubblica Saggi e discorsi. I primi due testi riguardano la tecnica. L’essenza della tecnica non è nulla di tecnico.
Continuiamo con la Dottrina platonica della verità. [pag. 182] Riferimento improvviso a Nietzsche, riguardo il to agathon. Heidegger mette in guardia dall’intendere il bene come bene morale. Una concezione che si fonda su valori, validi in sé, in maniera assoluta. Valore come condizione di conservazione e accrescimento. To agathon in senso greco è l’essere atto a qualcosa. L’idea offre la vista a ciò che è. Le idee rendono atto che qualcosa possa apparire per ciò che è. Le idee sono ciò che ogni ente è.
Secondo Platone ogni conoscere è in realtà un riconoscere. Ci sono gli enti, le idee (enti di categoria superiore), l’idea di tutte le idee, cioè il to agathon da cui deriva l’intera visività di ciò che è possibile. Arriviamo dunque al predominio dell’evidenza, della massima visività della nostra cultura. Ci si distanzia da un’idea di svelato in contrasto continuo con il velato. Lo svelato perde progressivamente il contatto col velato per divenire pura luce. Dice Heidegger: anche dove si percepiscono solo ombre ciò che predomina è già il fuoco (metafora della luce). Attraverso il fuoco abbiamo la possibilità di indicare la possibilità delle ombre. L’ente verrà conosciuto solo alla luce del sole.
Heidegger lotta contro la filosofia dei valori. Attraverso l’idea di bene, l’ente è salvato nell’essere.
Per ogni guardarsi attorno con circospezione (competenza), che accompagna il darsi da fare, deriva che colui che è filosofo e ha compito di governare la città (vedi Platone) deve avere l’idea del bene. L’idea delle idee che si chiama il bene.
Quindi anche la paideia deve servire, consiste nel rendere i filosofi liberi e fermi in modo tale da avere una idea stabile e ferma. Paideia messa sempre a rischio dall’apaideusia, ma ora assume i contorni di una visione stabile. Paideia diventa acquisizione definitiva di una certa formazione. Così Platone riesce a procurarsi un’immagine sensibile (dice Heidegger) dell’acquisizione definitiva di un sapere, attraverso l’ascesa. Qui c’è un’ambiguità, una contraddizione tra acquisizione definitiva e tensione con l’apaideusia. In aggiunta vi è anche l’ambiguità in relazione all’essenza di velatezza.
La Dottrina platonica della verità si fonda sul non detto di come l’idea diventa padrona di aletheia. La Dottrina si fonda sul processo del mito per cui l’idea visibile diviene padrona di aletheia. Aletheia verrà dimenticata in favore della luminosità.