Ogni scritto / testo di storia ha il suo stile perché ha i suoi obiettivi.
Saggistica di ricerca: tesi di laurea (diretta al relatore); scritto di ricerca o monografia su rivista; tesi di dottorato, che hanno un pubblico più vasto perché sono sottoposte a revisione esterna e sono indirizzate alla comunità dei ricercatori. Lo scritto di ricerca va dritto al problema, non si sofferma sui fondamentali che si presumono acquisiti; è indirizzato ad un segmento preciso (ricercatori di quella disciplina).
Abbiamo poi libri di carattere più generale e sintetico che scaturiscono da una ricerca, che hanno carattere sintetico e non analitico, con un taglio che guarda ai temi sociali, politici, di comunicazione, in uno stile curato, discorsivo, uno stile accattivante che presuppone la conoscenza di fonti primarie e secondarie e che si possono rivolgere anche a un pubblico specializzato.
Un altro aspetto interessante riguarda l’evoluzione dei manuali scolastici nel corso del tempo. Le storie di tipo nazionalistico o di storia patria rilevabili fino al tempo del fascismo sono, dopo quel periodo, scomparse completamente dai manuali. Dagli anni Settanta entrano le storie nazionali dei paesi non europei. Sempre riguardo l’evoluzione dei manuali nel tempo, negli anni Cinquanta e Sessanta si sceglieva fra due o tre manuali (Saitta, Spini), oggi se ne hanno a disposizione 15 o 20 (l’offerta è aumentata). Si è interpretata l’esigenza di riscrivere la storia interpretando le tendenze del momento. Prima si scriveva una storia che era essenzialmente politica, poi è diventata storia dell’opinione pubblica, del costume, della comunicazione, eccetera. Lucien Febvre la chiamava histoire à part entière. Abbiamo quindi anche la storia dei consumi, dei beni di consumo, la storia materiale.
Il linguaggio si adatta al pubblico. Noi abbiamo il dovere di farci capire adattando lo stile al pubblico e al livello di apprendimento[1]. La scarsa preoccupazione per il pubblico è stato un problema diffuso (tuttora), abbiamo il dovere di comunicazione e divulgazione. Linguaggio e stile di esposizione si adattano a comunicare e divulgare. L’uso politico e l’uso pubblico della storia sono anche due aspetti importanti su cui ritorneremo. Dobbiamo comunicare dei contenuti in modo efficace e semplice, al grande pubblico[2].
Metodologia è anche acquisire un metodo di espressione e divulgazione. Nei paesi di diritto comune (Regno Unito) la stratificazione dell’esperienza storica ha sempre avuto una rilevanza profonda. Le radici storiche sono il medium del rapporto tra cultura alta e generale. Da noi vige ancora il codice giustinianeo. In Francia l’elemento fondante è la Rivoluzione. In Germania vi è stata una presa di coscienza sul nazismo che in Italia, intorno al fascismo, non c’è stata. Che cosa può bloccare l’uso politico della storia? Solo la consapevolezza storica diffusa. Il web peraltro amplifica la diffusione dell’uso pubblico e politico della storia.
Storiografia: scrittura della storia. Letteratura storica. L’atto del produrre, scrivere storia. Res gestae (avvenimenti del passato) e storiografia: in realtà non esiste storia al di là della scrittura della storia. Si ricostruisce l’evento attraverso l’uso delle fonti che restituisce plasticità, consistenza al fatto storico. La storia non ha come obiettivo la formulazione di leggi (questo non appartiene alla disciplina storica), ma delle ipotesi per la spiegazione di eventi. Lo storico si distingue dallo scienziato sperimentale: lo storico non ha la possibilità di misurare numericamente e tradurre in espressioni numeriche i fatti storici, stabilendo delle relazioni numeriche[3].
Lo storico, inoltre, non giudica, non emette sentenze. Una cosa è la storia, un’altra cosa è la morale o il diritto. Questo non significa che non possa avere un’opinione, ma non può essere questo a guidare il suo lavoro. Anch’egli come il giudice però ha il compito di ricostruire la realtà.
La storiografia è anche prodotto letterario. Gibbon (oltre a Croce) è stato un grande storico inglese, nel 1781-88, scrisse “Declino e caduta dell’Impero romano”. Anche la storiografia ha una storia che si è evoluta nel corso dei secoli.
La metodologia si è precisata nella seconda metà dell’Ottocento, più o meno come la figura dello storico professionale. Prima avevamo solo Oxford e Gottingen.
David Hume, William Robertson, sono stati degli storici, ma non di professione. Voltaire è stato un letterato illuminista, ma non uno storico di professione che ha scritto grandi opere di storia. Leopold von Ranke, figura importante nella scuola storica tedesca. L’importanza di Ranke è nell’aver assegnato al documento d’archivio una parte fondamentale, preponderante e per eccellenza e anche nella critica delle fonti. Prima di Ranke la storia non dipendeva da materiali d’archivio, venivano prese in considerazione solo fonti secondarie.
Abbiamo finora usato il termine di fonte. È un termine inequivoco, è un concetto derivato. Da che cosa? Dallo storico. Abbattista userebbe il concetto di dato, elemento che proviene dal passato, diviene una fonte se riesco a farlo parlare (come storico). Lo storico ha una funzione creativa (non nel senso che si inventa le cose), cioè dare vita a ciò che altrimenti rimane inerte. Lo storico può anche scoprire cose nuove.
[1] Il Manuale di Storia Antica di Eva Cantarella, scritto per le medie, è in realtà un manuale che andrebbe bene per l’Università.
[2] Come fa Laterza, storica casa editrice di storia, insieme al Mulino di Bologna, che ha pubblicato Benedetto Croce.
[3] Abbiamo tuttavia la cliometria: (klīəmetriks), talvolta chiamata nuova storia economica o storia econometrica, è l’applicazione sistematica della teoria economica, delle tecniche econometriche e di altri metodi formali o matematici allo studio della storia (in particolare la storia sociale ed economica). È un approccio quantitativo (al contrario di quello qualitativo o etnografico) alla storia economica. Il termine “cliometrics” deriva da Clio, che era la musa della storia, fu originariamente coniato dall’economista matematico Stanley Reiter nel 1960. Dalla fine degli anni ‘90 c’è stata una ripresa della “nuova storia economica”.