Fra i vari dibattiti su Internet, tempo fa c’era anche quello sull’uscita dal capitalismo. Un tempo si parlava del suo superamento. Prima ancora si usava il verbo abbattere, più forte e roboante ma, portato di altri tempi, più duri e senza tante mediazioni. Il linguaggio era il riflesso del livello di coscienza di sé che un’intera società aveva.
Proviamo, però, a toccare la questione della divisione in classi della società, questione preesistente alla coscienza che se ne ha, prodotto del capitalismo, e della attualità della necessità del superamento di questa divisione, attraverso un confronto tra Marx e Horkheimer. Secondo Marx il capitalismo è un sistema storico e, pertanto, transitorio. Lo è perché è fondato su una contraddizione insanabile: quella tra capitale e lavoro. Se la contraddizione non esistesse e al suo posto regnasse l’armonia, non staremmo qui a parlarne.
Ancora secondo Marx, tutte le formazioni sociali sono una questione, un problema interno all’umanità: non vi è nulla di ultraterreno o fuori della cognizione umana. La transitorietà viene garantita dalla capacità/possibilità che ha l’uomo di ergersi a soggetto della trasformazione, in grado di affrontare e superare la contraddizione.
Marx individua nel lavoro salariato la base su cui si fonda la società capitalistica e nei salariati gli agenti che, in potenza ed in concreto, possono superare la contraddizione insanabile.
Horkheimer, pur accettando la teoria marxista, individua la base della società umana in un livello ancora più basso, cioè nello sfruttamento della natura (animali, vegetali), la quale, tuttavia, non può ergersi a soggetto rivoluzionario. Non parla, non protesta, non sciopera. E’ un nodo irrisolto della filosofia a cui si può – eventualmente – porre rimedio solo con una sorta di “limitazione del danno”, in forma ecologista nell’ottica del superamento del capitalismo, poiché l’ecologismo nel capitalismo è fatica di Sisifo. E ricordando la contraddizione stessa in modo da renderla meno brutale attraverso la coscienza del danno.
Ecco, quindi, che è possibile cambiare il mondo: perché esiste un soggetto del cambiamento. I garanti del cambiamento dovrebbero essere proprio gli intellettuali, coloro che narrano e rimemorano che esiste dolore, sfruttamento, sperequazione ed incitano a prendere coscienza di ciò e della possibilità di cambiamento. Essi non dicono che è possibile trovare un punto di incontro senza eliminare le cause di tanta iniquità ma dicono che quelle cause vanno eliminate. Questo tipo di intellettuali non sono i saltimbanchi della classe dominante, sono i cosiddetti “intellettuali ribelli” che, storicamente, si sono alleati alle classi rivoluzionarie.
Soggetti del cambiamento e garanti dello stesso sono i “diversi”, portatori di un’altra cultura, di un’alterità sociale e politica rispetto al modello dominante. Questa alterità va preservata come la bio-diversità, contro la riduzione ad uno, l’omologazione così utile al capitalismo. Non è un caso, infatti, se proprio il capitale si impegna a farci credere di essere l’unica cultura possibile. Se vogliamo dare alla specie umana una possibilità di sopravvivenza, dobbiamo lottare per preservare tutte le forme alterne e subalterne di cultura.
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