di Sergio Mauri
Ecco una serie di immagini che ritraggono un paesaggio (cosiddetto) post-moderno, post-industriale, fatto di immobili adibiti a usi commerciali (tempo libero) e artigianali che per la loro specifica funzione devono essere capienti, attirare l’attenzione con le loro forme e colori spesso sgargianti, con l’utilizzo non casuale dei materiali di costruzione abbinati secondo tecniche nuove, ma spesso poco eco-compatibili. Sono luoghi che danno la sensazione di essere (in) non-luoghi. Infatti, si potrebbe essere in qualsiasi periferia in Europa o nel mondo, nulla distingue queste costruzioni da altre diversamente localizzate. Sono realtà intercambiabili, non riconducibili a uno spazio particolare, se non in un generico spazio contemporaneo.
La loro disposizione, rispettosa del piano regolatore, ancor prima di questa caratteristica possiede quella della geometrica collocazione nello spazio. Spazio geometrico dunque, con le sue distanze, dislocazioni, proporzionalità, secondo una concezione cartesiana e, perciò, moderna, allargata. Nello specifico, il paesaggio che questi luoghi generano (siamo alla periferia di Trieste, in un’area vicinissima alla zona industriale) sono il prodotto, proprio in quanto paesaggio, della tipica azione umana che li plasma rendendoli riconoscibili fra molti. Esso è inserito in un territorio appannaggio e frutto della normatività dell’apparato pubblico (Stato) che ne traccia usi e destinazioni (oltre che destini). L’insieme dei (molti) territori da vita, compone l’ambiente in cui viviamo che fittiziamente identifichiamo come “naturale”, ma che è tale solo se si naturalizza l’intervento dell’uomo che lo modifica per le sue esigenze, spesso largamente necessarie, ma mai prive di conseguenze. Ambiente: l’ennesimo termine ambiguo che vuol dire e significare molto. L’ambiente è quello che contiene tutti, piante, animali, uomini. Inevitabilmente ambiguo perché è già il linguaggio che lo è, in quanto normativo e contrastante che rimanda a rimandi non conclusi.
I territori, d’altro canto, sono il prodotto dei flussi (di persone, portatrici di denaro, interessi e bisogni) che li modellano. Flussi calcolati in frequenza e intensità. Trasformati, infine, in dati, in meri numeri che poi verranno elaborati per restituirci delle informazioni. E qui, troppo spesso, nascono i problemi rispetto all’ambiente che dai territori è composto, proprio a causa di quei flussi incompatibili con la dimensione che li contiene.
E tuttavia si caratterizza, in tale contesto, l’esistenza di ecosistemi a vari livelli: economico, imprenditoriale, commerciale, oltre che della flora o fauna che, bene o male, questi luoghi, portatori di nuovi equilibri o di squilibri tout court, li attraversa. Ecosistemi, quindi reti di relazioni che creano un contesto di rapporti reali, potenziali, irreali. In cui tuttavia, è bene ricordarlo, sono gli esseri umani a rappresentare una soggettività con tutto ciò che comporta, non le piante o gli animali.
Dobbiamo spendere ancora due parole sui luoghi. I luoghi sono l’opposto degli spazi (Farinelli), sono caratterizzati emotivamente, concettualmente, da un ricadere delle conseguenze delle nostre azioni. Gli spazi sono caratterizzati da un’anomia di contenuto, forse perché definiti già nell’ambito filosofico, come concetto che è atto a contenere o meglio, è funzione di contenitore dei fenomeni, inclusi quelli di ordine geografico. Lo spazio è ontologicamente definibile come la la dimensione e la modalità di manifestazione dei fenomeni: tanto è vero che un tempo si pensava fosse un’altra manifestazione del tempo.
Dunque, spazi vissuti nel tempo libero (soprattutto) o di produzione (meno) come nuova frontiera del mondo contemporaneo, in cui a contare, principalmente per la valorizzazione dei capitali, sono la messa a valore dell’unica vera e insostituibile ricchezza: gli esseri umani.