di Sergio Mauri
Nietzsche è coinvolto nella questione della verità proprio sul versante del platonismo. Per Heidegger Nietzsche è il più sfrenato platonico, tuttavia a sua insaputa. Sul versante di Heidegger c’è l’idea per cui il pensiero filosofico occidentale non è iniziativa di un qualche singolo, ma è un destino. Nella storia del pensiero occidentale vi è una destinazione. La storia del pensiero occidentale è la storia dell’essere. Heidegger distingue la storia come storiografia e come accadimento. Geschichte si avvicina molto alla parola destino, nella etimologia tedesca. C’è un destino e ciò che affermano Platone e Aristotele è una specie di mandato che condiziona tutto quello che avverrà dopo. Un input su cui non necessariamente si può criticare. Heidegger dice che Nietzsche (come Platone) non può, in quanto Nietzsche, esserne all’oscuro. Il non detto di Platone (la dottrina della verità) sarà in grado di condizionare il destino, di trasformarlo. Dalla concezione di svelatezza si passa alla luce, alla luminosità dell’idea. Questa concezione si ripercuote su tutta la storia dell’Occidente, come correttezza dello sguardo. In Nietzsche la verità diventa un valore. Nietzsche affermerà che l’arte ha più valore della verità. Quindi l’arte e la verità devono avere un terreno comune per essere confrontate e questo terreno comune è quello del valore. Nietzsche ha tenuto in evidenza l’essenza dell’agathon come bene, ma non a partire dalla validità del valore in sé stesso, ma a partire dalla dimensione del vivente. Laddove Platone parla di to agathon, lo fa capovolgendo la faccenda dell’idea di tutte le idee. L’arte ha più valore della verità nei termini di quest’ultima. La verità è necessaria per la sopravvivenza, è un errore.
Perché la verità sarebbe un errore e perché l’uomo non ne potrebbe fare a meno? Perché, dice Nietzsche, l’uomo è strutturato in una certa maniera e solo così può reggere il divenire. Quando noi parliamo di albero il nostro concetto è sottratto al divenire e la nostra vita e il nostro conoscere funzionano così; quindi, si producono all’interno di una falsificazione. Quindi se la vita è costante divenire, la verità è immobilizzazione del divenire necessaria alla sopravvivenza della specie. E nel vivere, la vita impone valori conservandosi e potenziandosi. Nel valore ogni uomo non fa altro che porre le basi per la propria esistenza.
Lo strumento di cui disponiamo per cogliere la realtà è il linguaggio. Attraverso di esso imponiamo una falsificazione. Il valore è riconducibile all’affermazione del vivente. I valori, soprattutto quelli morali vengono dal basso. L’uomo deve avere il coraggio di trasvalutare i valori, togliendo quindi Dio non solo dal punto di vista religioso, ma anche morale. È una condizione straniante. È necessario che venga l’uomo in grado di rifondare i valori, valori che non siano garantiti da alcuna divinità. Quindi, la questione dei valori è assai problematica. È tutto molto disorientante e confuso se i valori non valgono in sé.
Al posto di aletheia subentra quindi l’idea. Heidegger dice che, se pure l’idea la si rappresenta con la perceptio, allora è un qualcosa di evidente, ed è rappresentazione soggettiva. L’idea è un qualcosa che ritrovo in me, che mi rappresento. Secondo questa declinazione maggiormente soggettiva, si ritrova un valore della rappresentazione soggettiva valida in sé stessa che è poi in Descartes e in cui non si ritrova più nella essenza originaria[1] dell’idea, nel to agathon.
Il to agathon non può essere concepito come una rappresentazione soggettiva del bene. L’idea di bene non può essere assolutamente intesa come un bene morale, una sua rappresentazione in senso morale. L’invio destinale, per Heidegger, non è causalità, è una sorta di messaggio che viene interpretato. È un invio che ha una destinazione. Possiamo vedere l’invio destinale anche come causa e fine, purché non si intenda una causa nell’ottica meccanicistica e non si consideri il fine come causa finale. Qui si entra nel campo dell’ermeneutica[2] che è una parola che può essere trascritta come interpretazione. L’invio destinale di Heidegger è qualcosa che si offre necessariamente a una interpretazione. E un messaggio non può essere una causa meccanica; è ciò a partire da cui si continua a parlare di ciò che il messaggio parla. Il messaggio originario è: l’essere è e non è possibile che non sia e nulla non è e non si può dire non sia, che è il messaggio, grosso modo, di Parmenide. Quel messaggio fonda la civiltà occidentale e il suo pensiero che non sarà altro che una continua interpretazione di questo messaggio a cui sono riconducibili tutte le posizioni filosofiche, inclusa quella di Heidegger. Con Socrate, poi, la filosofia inizia anche a interrogarsi su ciò che sta dentro di noi, non solo sulla natura.
Nietzsche è il platonico più sfrenato per Heidegger poiché Nietzsche nella sua concezione della vita come volontà di potenza implica che tutto sia da intendersi in termini di valore.
[1] Una rappresentazione soggettiva del bene.
[2] Da Ermes, messaggero degli dèi.